lunedì 28 febbraio 2011

Compleanno

Oggi è il mio compleanno, ne approfitto quindi per prendermi un giorno di riposo ;-)
Colgo l'occasione per ringraziare di cuore tutti i miei lettori, che lentamente ma costantemente crescono di giorno in giorno dandomi la forza di continuare a curare questo blog attraverso il quale cerco di trasmettere il mio amore per Venezia.
Grazie!

venerdì 25 febbraio 2011

"Il carnevale ha assunto dimensioni grandiose. Una sciocchezza piccola è stupida, ma una grande sciocchezza può diventare meravigliosa, grandiosa. La ‘febbre’ delle maschere da normale è diventata altissima. Immagina le due piazze, un lungomare (il nostro, riva degli Schiavoni) e tutti gli annessi vicoli pieni di gente e di maschere, non si riesce a passare, nessuno si può muovere, ovunque grida, risate, ma niente di indecente, come a Parigi. Quest’ultimo particolare mi ha affascinato. Sono gente allegra, non il personale vestito in maschera di un bordello”
(Aleksandr I. Herzen, 1867)

giovedì 24 febbraio 2011

Tintoretto è Venezia anche quando non dipinge Venezia

"C'è nelle sue opere, una forma di pesantezza, che fa sì che lo spazio del Tintoretto non sia quello del pittore, ma quello dello scultore: egli è un pittore che dipinge i rapporti spaziali che si hanno quando si scolpisce - egli stesso era particolarmente colpito da ciò. Partendo da qui comprendiamo che per il Tintoretto un quadro è un problema di pittura, ed è questo che ne rivela l'inquietudine.
Con lui le dimensioni non sono più assolute, diventano relative allo loro posizione rispetto ad un testimone. Tintoretto ha inventato lo spettatore del quadro. Perciò è moderno: è una rivoluzione rispetto alla pittura precedente, e annuncia gli impressionisti. Egli voleva ritrovare lo spazio così come è vissuto da noi, con le sue distanze insuperabili, i pericoli, le fatiche: pensava che questa fosse la realtà assoluta dello spazio, perciò ha trovato suo malgrado la soggettività. E' sempre rispetto a noi che costruisce i suoi quadri.
La condizione dell'uomo gli appare come vano rumore e furore, storia idiota raccontata da un pazzo. E nel contempo, come per la bellezza dei versi di Shakespeare, l'idiozia è velata dalla bellezza dei movimenti d'insieme. Con l'occasione sparisce il mondo dell'atto. Già il manierismo dei pittori fiorentini del Cinquecento e infine del Tiziano, l'avevano trasformato in gesto. Tintoretto lo trasforma in passione. Meraviglia, terrore, eccesso, angoscia, follia, ecco le condizioni dell'uomo di Tintoretto".
(J.P.Sartre)

martedì 22 febbraio 2011

“Venezia è l’assurdità più bella che l’uomo abbia potuto creare”
(Aleksandr Herzen)

lunedì 21 febbraio 2011

Il corno ducale

Uno dei più noti simboli di Venezia è il cosiddetto "corno ducale", cioè quel curioso copricapo che  a partire dal IX secolo, tutti i dogi erano tenuti ad indossare. In realtà anche prima di allora i dogi indossavano un cappello come simbolo del loro incarico, ma era di forma completamente diversa.
A quei tempi era usanza che il doge si recasse una volta all'anno a rendere omaggio alle reliquie di San Pancrazio e di Santa Sabina, custoditi nella chiesa di San Zaccaria. Le due reliquie erano stato donate al monastero di San Zaccaria da Papa Benedetto III, quando questi, messo in fuga dal sultano di Babilonia, trovò rifugio tra queste mura.
Era questo un convento particolare, in quanto riservato ai soli patrizi, e per questa ragione il convento era spesso fatto oggetto di doni e lasciti sostanziosi, che permettevano alle monache di vivere in maniera decisamente agiata, e non priva di qualche diversivo, dal momento che ben poche erano lì per autentica vocazione.
Fu nell'occasione della visita del doge Pietro Tradonico nell'864 che la badessa Agostina Morosini gli fece dono di un bellissimo copricapo, dalla forma particolare, detto appunto "corno". Era interamente trapuntato di fili d'oro e adornato di 24 perle, un grosso rubino ed una croce formata da 28 smeraldi e 12 brillanti. Il cappello era talmente prezioso che venne soprannominato zoia (cioè "gioia" o "gioiello").
Il dono non era rivolto però al doge personalmente ma alla carica che rivestiva, di conseguenza il copricapo venne custodito nel Tesoro della Repubblica e utilizzato solo in occasioni ufficiali particolarmente importanti.

(Fonte: M. Brusegan)

venerdì 18 febbraio 2011

"Dopo pranzo sedersi ad un tavolo di uno dei caffè sulla Piazza San Marco osservando la folla brulicante composta di persone di ogni sorta è un'esperienza accattivante. Mi piacciono anche le stradine, strette come un corridoio, soprattutto al calar della notte, quando i negozi sono illuminati a gas. In poche parole, mi sono innamorato di Venezia"
(Tchaikovsky, 1877)

giovedì 17 febbraio 2011

Gli spezieri veneziani e le loro celebri pozioni

Gli antichi farmacisti veneziani (spezier de fin) avevano a disposizione tutto ciò che occorreva loro per preparare i medicamenti: gli strumenti di vetro erano prodotti in laguna e dall'Oriente si importava una gran varietà di erbe medicinali, spezie e droghe.
Producevano curiose specialità come l'Amaro Mantovani, per problemi di stomaco, a base di assenzio, e l'Olio di scorpioni, per le ferite, creato usando cento scorpioni vivi affogati in 2 libbre d'olio d'oliva. Ma erano celebri soprattutto per due altri prodotti: il Mitridato, a base di erbe e castoreum (una sostanza estratta dalle ghiandole del castoro), e la Theriaca o Triaca, una sorta di panacea contro tutti i mali famosissima in epoca medioevale.
La preparazione della Triaca a Venezia veniva fatta in pubblico assumendo quasi toni di festa, i 64 ingredienti che la componevano venivano pestati in pesanti mortai, il tutto accompagnato da canti tradizionali. La Triaca veniva poi esportata in tutta Europa. Si diceva guarisse da tutte le malattie contagiose, liberava dalla febbre, sanava il mal di stomaco, rischiarava la vista, e molto altro!
Non tutte le spezierie avevano il permesso di confezionarla, tra quelle abilitate la più famosa era quella della "Testa d'oro" a San Bartolomeo (l'insegna è visibile ancora oggi).
La prima Scuola di mestiere degli Spezieri comparve nel 1258, aveva sede a San Bartolomeo e assunse come patrono S. Salvador. Le regole che l'antico spezier doveva seguire erano precise: conoscenza del latino, evitare gioco e vino, indossare sempre abiti puliti. Due volte l'anno la spezieria era controllata da funzionari dello Stato, e se si trovavano prodotti avariati questi erano sequestrati e bruciati sul Ponte di Rialto.

(Fonti: P. Zoffoli - M.C. Bizio)

mercoledì 16 febbraio 2011

"Oltre le tante e rare virtù che possedono le gentildonne venetiane, per la maggior parte sogliono haver quella del suonar di lauto, che nel fuor di modo si esercitano, e diventano tanto eccellenti che suonando per lor diporto ora con le velle concertate note rendono a loro medesime melodie, e contento, e a chi l'ode stupor e meraviglia"
(Giacomo Franco, 1570)

lunedì 14 febbraio 2011

Apre la Casa di Corto Maltese a Venezia

Il 20 febbraio si inaugura a Venezia la Casa di Corto Maltese. Si tratta di una casa-museo dedicata al celebre personaggio creato dalla mente geniale di Hugo Pratt. Ma non solo. Ci saranno spazi dedicati ad esposizioni d'arte e ad attività ludico-creative. Questo bellissimo progetto nasce grazie all'impegno di un gruppo di persone appassionate di Corto Maltese e impegnate attivamente nel sociale e nella promozione artistica, tutte naturalmente accomunate da un grande amore per Venezia.
La Casa di Corto è ubicata all'interno di un bel palazzetto, con tanto di piccolo giardino interno, in Rio Terà dei Biri (Cannaregio, 5394/B), non molto distante dalla Chiesa dei Miracoli.
Un'occasione imperdibile per tutti gli amanti di questo personaggio, tanto più che all'interno della Casa sarà possibile anche incontrare Guido Fuga e Lele Vianello, collaboratori di sempre di Hugo Pratt, nonché autori della guida "Corto Sconto".
Sono infine felice di annunciare che i proprietari della Casa di Corto hanno voluto stringere un accordo con me, grazie al quale, tutte le persone che parteciperanno ai miei percorsi di visita a Venezia avranno diritto ad uno sconto sul biglietto d'ingresso alla Casa.

venerdì 11 febbraio 2011

"Venezia si mostra non una sola, ma più città separate e tutte congiunte insieme, di maniera che uscendosi da una contrada ed entrandosi in un'altra tu dirai senza dubbio d'uscire da una città e di entrare in un'altra, con infinita soddisfazione degli abitanti e con stupore dei foresti"
(Jacopo Sansovino, 1560)

giovedì 10 febbraio 2011

Riccardo Selvatico, poeta e sindaco di Venezia

Riccardo Selvatico nasce a Venezia il 16 aprile 1849. Personalità intellettuale di grande prestigio nella Venezia di fine secolo, è autore di commedie e poesie scritte in dialetto. Tra le commedie, di ambientazione popolare, le più note sono 'La bozeta de l'ogio' e 'I recini da festa'.
Dalla moglie Anna Maria (Nina) Charmat ha due figli, Lino e Luigi, che diventeranno entrambi pittori.
Nel 1890 viene eletto sindaco di Venezia a capo di una giunta progressista. Resterà in carica fino al 1895; le successive elezioni, vengono infatti vinte dalla coalizione clerico-moderata (sostenuta dalla curia veneziana), sull'onda di una campagna di stampa condotta contro l'operato della giunta Selvatico, considerata eccessivamente laica.
Nel corso del suo mandato ha comunque modo di ideare la prestigiosa istituzione che ancora oggi contribuisce a fare di Venezia una delle principali città di cultura. È infatti sua l'idea di dare vita ad una esposizione d'arte internazionale; da questa idea, sostenuta da altri intellettuali veneziani fra cui Giovanni Bordiga, nasce nel 1895 la Biennale di Venezia, che verrà inaugurata alla presenza del Re, e di cui Selvatico, ormai non più sindaco, terrà il discorso inaugurale.
Selvatico morirà a Biancade il 21 di agosto 1901.
Un ritratto di Selvatico, opera di Alessandro Milesi, è conservato a Ca'Pesaro a Venezia, mentre un'erma in bronzo, opera del Canonica, si trova nei Giardini della Biennale.

(Fonte: Wikipedia)

martedì 8 febbraio 2011

"Anche l'acqua è corale in tanti modi, in realtà tutta la città, specie di notte, è come un'orchestra gigantesca con i leggii appena rischiarati dei palazzi, il coro incessante delle onde e il falsetto di una stella nel cielo invernale. La musica sovrasta l'orchestra e nessuna mano può girare la pagina"
(Joseph Brodsky, 1992)

lunedì 7 febbraio 2011

Fare il Listòn

In ogni città esiste, o è esistito, un luogo pubblico dove passeggiare alla sera con gli amici, per mettersi un po' in mostra o cercare nuovi amori. A Venezia, città libertina per eccellenza, questa usanza esisteva già molti secoli fa.
Uno dei più antichi luoghi di queste passeggiate era quello di Campo Santo Stefano, già nel XVI secolo. In quel tempo il campo era erboso, salvo una striscia, una "lista" che era selciata e dove si poteva camminare comodamente avanti e indietro, chiacchierando e facendosi notare. Il passeggio serale si chiamò così listòn.
Si svolgeva principalmente nei giorni di festa e soprattutto a Carnevale (che a Venezia durava 5 mesi), cominciando verso le 22 e continuando fino a tarda notte. Per godersi il listòn o per riposarsi ogni tanto, venivano disposte delle sedie lungo il camminamento. Le dame sfoggiavano i vestiti, i monili più belli e le acconciature più complicate, lanciando sguardi ammiccanti ai cavalieri.
Con il passare del tempo il listòn si spostò in piazza San Marco, dove diventò stabile durante l'estate e le sedie venivano affittate per cinque soldi l'una. Qui alla sera un gran numero di dame sfilavano civettando con i loro cavalieri o con qualche sconosciuto, agghindate come meglio potevano. Il via vai era intenso, come intenso era il fitto intreccio di segnali, sguardi e sorrisi e quant'altro si potesse fare nei corteggiamenti.
Di queste passeggiate riferisce, naturalmente, anche Giacomo Casanova nelle sue "Memorie".

sabato 5 febbraio 2011

"Certe donnicciuole che quando, passato l'inverno, e la stagione comincia a migliorare, escono a guisa di lucertole, e portate fuori le loro sedie impagliate, mettonle agli usci, e fatta sala del campo, una fa calzette coi ferruzzi, un'altra dipana, quale annaspa, quale cuce, e parlano in comune dallo spuntare fino al tramonto del sole"
(Gasparo Gozzi)

venerdì 4 febbraio 2011

Il Fontego del Megio

Il Fontego del Megio (fondaco del miglio) si erge a fianco del Fontego dei Turchi sul Canal Grande. Poco si conosce di questa massiccia e sobria costruzione con la facciata in cotto rifinita da un coronamento merlato.
Le merlature costituiscono un elemento tipico della Venezia medievale che persisterà anche nelle epoche successive: queste aumentano la leggerezza e l'eleganza dell'edificio, ma non hanno (a Venezia) alcuna funzione difensiva.
Nel XII e XIV secolo, periodo bizantino, sono triangolari; probabilmente hanno preso la loro forma dalle antiche steli commemorative o forse dalla seghettatura delle palizzate che circondavano i conventi.
Nel XV secolo, periodo gotico, il materiale preferito è il cotto, giocato con forme sempre diverse ed originali.
Nel XVI secolo, periodo rinascimentale, le merlature sono per lo più in pietra d'Istria e lavorate in modo raffinato. L'artista che ha lasciato un esempio di nuovo tipo di merlatura fu Palladio: esso è ad arco rovesciato, come si può osservare a San Giorgio Maggiore.
Il Fontego del Megio risale al 1300 ed era destinato a deposito del miglio, usato dalla Repubblica nei periodi di carestia. Il miglio in genere era usato per i sudditi che, a differenza dei veneziani, sapevano rinunciare al pane bianco.
Raramente i veneziani ricorsero all'uso del miglio e quelle poche volte furono ricordate dal popolo con efficacia, come quando, nel 1570, morì il doge Pietro Loredan, il quale a causa di una carestia aveva ordinato che il pane fosse confezionato con il miglio: "El dose mejotto, che fa vender el pan de mejo ai pistori, xe morto!" (Il doge megiotto, che fa vendere il pane di miglio ai panettieri, è morto!).

Fonte (M.C.Bizio)

giovedì 3 febbraio 2011

"Durante il Carnevale si organizzano molti piccoli balli che sono chiamati festini. A tal scopo è messa a disposizione una casa, dove una lanterna affissa alla porta e abbellita di ghirlande serve da emblema per tutta la durata del Carnevale; un violino ed una spinetta sono tutto l'apporto musicale, e l'entrata è libera per tutti"
(A.-T.-L. de Saint-Didier, 1680)

mercoledì 2 febbraio 2011

Giorgio Massari, l'ultimo grande architetto della Serenissima

Sulla vita di Giorgio Massari esistono poche notizie, nonostante possa essere considerato l'ultimo grande architetto della Repubblica di Venezia, attento non solo alle costruzioni maggiori come chiese e palazzi, ma anche a quelle minori come cori lignei (Gesuati), confessionali e armadi da sacrestia (San Marcuola) e cancellate così raffinate da sembrare un merletto (Cantorie della Pietà).
Il Massari nacque a Venezia il 13 ottobre 1687 a San Luca da Stefano marangon (falegname) e Caterina Pol. Ebbe una certa istruzione, ma non si conosce come sia stato il suo esordio in architettura. Il primo fra i suoi committenti fu Paolo Tamagnin, ricco commerciante che abitava in Campo San Paternian, per il quale Giorgio costruì una villa ad Istriana nel 1712. Tra i due nacque una forte amicizia e quando il Tamagnin morì, nel 1734, lasciò alla moglie, Pisana Bianconi, solo l'usufrutto del capitale e nominò erede universale il Massari; inoltre gran parte delle rendite doveva essere accantonata per raggiungere la cifra di centomila ducati al fine di ristrutturare la Chiesa di San Giovanni in Bragora.
Nel 1735 Massari sposò la vedova cinquantaseienne del Tamagnin e andò a vivere nella sua casa alla Bragora. Si crede che il matrimonio sia stato il coronamento di un vecchio amore tenuto nascosto per anni.
Rimasto vedovo nel 1751, senza figli, il Massari trascorse una vecchiaia non facile a causa di numerosi acciacchi: lo si intuisce dall'inventario dei suoi beni personali, tra i quali un elenco di spese con un passivo di ben 70 ducati per medici e medicine. Nonostante le difficoltà fisiche, la sua attività si protrasse fin quasi alla morte, avvenuta il 20 dicembre 1766.
Il Massari fu un architetto stimato, pur nella sua semplicità e spontaneità. Non era particolarmente erudito, ma era un attento e preciso osservatore delle opere dei grandi maestri come Palladio, Sansovino e Longhena. Fu sempre pronto ad accettare consigli e non fu mai avido di denaro.
Fu però anche invidiato da certi suoi colleghi; così scrisse il Temanza di lui: "Il superbo e maligno Massari, ma dovrei dire l'ignorante asinaccio. Uomo tolto dall'umile professione di legnaiolo e per sola fortuna innalzato alla stima di celebre Architetto".

martedì 1 febbraio 2011

"Non riceverai molte descrizioni. Non è possibile farlo per l'ebbrezza che Venezia mette addosso"
(Sigmund Freud in una lettera alla moglie, 1895)