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lunedì 7 luglio 2014

Cattedrale Santa Maria Assunta di Torcello

Fondata nel 639, come ricorda l'iscrizione epigrafica a sinistra del coro (considerato il più antico documento in laguna), fu fatta ricostruire nel 1008 da Orso Orseolo, figlio del doge Pietro Orseolo II, quando divenne vescovo di Torcello.

L'edificio veneto-bizantino (in forma basilicale romanica) si presenta a tre navate, con pietre a vista, una facciata centrale sopraelevata scandita da sei lesene e un porticato antistante. Questo, originariamente sorretto da quattro colonne, ne vide aggiungersi altre da entrambi i lati, che lo portarono a congiungersi con quello di Santa Fosca nel corso del XIV e XV secolo.
Sul lato destro si erge la grande torre quadrata del campanile (XII secolo), emblema, come nelle contemporanee Pomposa e Aquileia, della potenza della città.
Anticamente la facciata era affiancata da un battistero a pianta circolare di cui ancora si possono vedere le fondamenta.
Sul fianco della chiesa sono interessanti le chiusure delle finestre centinate a grandi lastroni di pietra movibili su cardini anch'essi di pietra.
Il soffitto ligneo, ad incavallature scoperte, è rimasto forse quello originario.
L'ampia e luminosa navata tripla, con le alte colonne che sorreggono capitelli in parte romani e in parte imitati nelle officine veneziane, ricorda Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna.

Il pavimento in mosaico di marmo è sopraelevato di circa venti centimetri sul preesistente del IX secolo, lavorato con cubetti bianchi e neri i cui resti si possono ammirare attraverso due botole.
Il presbiterio, ai cui piedi è posta la pietra tombale del vescovo Paolo di Altino, è segnato dall'iconostasi con al centro la porta sacra, delimitata da tre sottili colonne, chiuse per metà da plutei marmorei bizantini dell'XI secolo, adorni, come merletti di pietra, da immagini di fiori, leoni e pavoni che si abbeverano alla fontana divina. Le colonne sorreggono tavole quattrocentesche che rappresentano la Madonna attorniata dai dodici apostoli, su cui si innalza il coevo crocifisso ligneo.

L'altare, il cui piano è di spesso marmo greco, è stato ricostruito nel 1939 in luogo di un deturpante impianto barocco. Ai suoi piedi, protetto da una grata, si trova un sarcofago romano del III secolo che contiene le spoglie del santo vescovo altinate Eliodoro (spoglie traslate a Torcello in seguito alla conquista di Altino da parte dei Longobardi).
La conca absidale si apre con il trono del vescovo addossato all'abside, come in Santa Maria delle Grazie a Grado (V secolo). Questo si erge su gradinate circolari e vi si accede salendo dieci scalini, simbolo dei dieci comandamenti.
Sopra il trono episcopale è rappresentato, a mosaico, Sant'Eliodoro. Gli apostoli, vestiti con il proprio simbolo come nelle chiese ravennati, procedono simmetricamente sotto i piedi della Vergine. Al centro della processione si apre una finestrella, simbolo della luce divina, e la Vergine bizantina Teotoga (XII secolo), regalmente vestita e isolata nello spazio dorato del catino absidale, rappresenta l'incontro tra l'umano e il divino.
Tre le sue braccia regge il Bambino, che porta il rotolo della legge, mentre dalle sue mani pende un fazzoletto bianco, simbolo della mater dolorosa.
Il loro sguardo dolcissimo rapisce l'osservatore.
L'abside della cappella laterale destra, decorata a mosaico nel IX secolo e rimaneggiata nel XII secolo, rappresenta quattro dottori della Chiesa: Agostino, Ambrogio, Martino e Gregorio. Sopra è il Cristo Pantocratore con la tavola delle leggi attorniato dagli arcangeli Michele e Gabriele.
Nella cappella laterale sinistra permangono resti di un affresco duecentesco, e sulla stessa navata trova posto la piccola pala di Maria Vergine dipinta da Tintoretto.
L'imponente mosaico del Giudizio universale (XI - XII secolo), che occupa l'intera parete ovest (controfacciata), doveva ricordare ai fedeli che uscivano dalla funzione il destino finale.
Il racconto articolato in sei sequenze si legge dall'alto verso il basso: dalla Crocifissione alla separazione degli eletti dai dannati. Proprio nella raffigurazione di questi ultimi vi è la ricerca di un carattere narrativo più naturalistico, intensamente espressivo e radicalmente veneto: lo stesso carattere che si ritroverà nella Basilica di San Marco dove i mosaicisti si trasferirono alla fine di questo imponente lavoro.


domenica 28 aprile 2013

La chiesa di Santa Croce alla Giudecca

La chiesa e il complesso conventuale risalgono agli inizi del 1300, ma già nel 1500 subì una radicale ristrutturazione, e ulteriori rimaneggiamenti ebbero luogo lungo i secoli.
La chiesa un tempo era molto nota oltre che per i ricchi arredi, anche e soprattutto per il gran numero di reliquie in essa conservate, in essa infatti si trovavano: reliquie lignee della Croce di Cristo (da cui il nome della Chiesa), l'indice della mano destra di San Giovanni Crisostomo, la testa di San Teofane martire, un piede di Santa Teodosia martire, il corpo di Sant'Atanasio patriarca di Alessandria e il corpo della beata Eufemia Giustinian, già badessa del monastero.
Eufemia Giustinian nacque nel 1409 e all'età di soli sedici anni entrò nel monastero della Santa Croce alla Giudecca, per divenirne badessa nel 1444. La sua grande carità cristiana si era mostrata concretamente durante una grave pestilenza che colpì la città nel 1464, in quell'occasione dimostrò animo intrepido assistendo numerosi malati afflitti dalla peste. Morì nel 1487 e il suo corpo si mantenne incorrotto. Venne poi beatificata.
Legato alla figura della badessa e ad un pozzo del monastero è nota un'antica leggenda. Sempre durante la pestilenza del 1464 successe al monastero un fatto straordinario: si narra che una notte qualcuno bussò alla porta del convento, la badessa aprì lo spioncino e vide un uomo incappucciato, senza timore alcuno aprì la porta allo sconosciuto e lo invitò ad entrare. Lo straniero disse di essere assetato e di stare semplicemente cercando un poco d'acqua. La suora lo condusse quindi al loro pozzo e gli porse da bere. L'uomo si scoprì il volto e svelò di essere San Sebastiano. Colpito dalla generosità di Eufemia annunciò che l'acqua di quel pozzo avrebbe preservato le monache di quel convento dal morbo della pesta.
A tal punto si diffuse la leggenda che durante la peste del 1575 (quella del Redentore) frotte di persone si accalcavano quotidianamente davanti al portone del monastero chiedendo di poter bere l'acqua del pozzo di San Sebastiano; addirittura più volte le suore furono costrette a chiamare le forze dell'ordine per far sciogliere gli assembramenti!
Con l'arrivo di Napoleone  il monastero fu soppresso e divenne una casa di correzione che arrivò ad ospitare diverse centinaia di detenuti. Fu poi un magazzino per la raccolta del tabacco, e dagli anni sessanta del Novecento è divenuta sede sussidiaria dell'Archivio di Stato di Venezia.

lunedì 18 marzo 2013

Chiesa e Ospedale di Santa Maria dei Derelitti

 All’inizio questa istituzione era piuttosto modesta, poi all’ospedale venne affiancato un ricovero per orfani: ai ragazzi si insegnava un mestiere e alle ragazze si insegnava musica; ma quello che era un intento solo educativo divenne presto fonte di notevoli entrate economiche, la gente faceva la fila per venire a ascoltare le voci soave delle fanciulle! Fu così che tra gli incassi della scuola di musica e il lascito testamentario di Bartolomeo Carnioni fu possibile ampliare l’ospedale e far costruire la facciata - realizzata dal Longhena - divisa in tre parti: quella inferiore in stile ionico, con mascheroni e festoni di frutta (la scultura sopra l’ingresso rappresenta la Madonna addolorata, un accenno al tema della sofferenza dei malati ospiti dell’ospedale annesso), la fascia centrale presenta dei telamoni con la Pecten Pilgrimea (cioè la conchiglia dei pellegrini) uno porta una borraccia ed un altro un rosario (allusioni alla funzione assistenziale e caritatevole dell’ospedale), nella nicchia centrale: busto di Bartolomeo Carnioni (ricco mercante che possedeva un negozio alle Mercerie e che alla morte, essendo senza eredi, lasciò tutto a questo Ospedale; egli aveva un negozio con insegna allo struzzo, animale che compare ai suo lati; le penne dello struzzo erano simboli di equità e giustizia per il fatto che hanno tutte la stessa lunghezza), la terza parte è l’attico, cioè quell’elemento architettonico continuo che si poneva attorno al tetto per nasconderlo, elemento usato per la prima volta appunto in “Attica” una regione della Grecia.
L'ospizio vero e proprio è un edificio a tre piani, addossato alla chiesa, e vi erano ospitate un centinaio di giovani. La corte interna, anch'essa opera del Longhena, detta "Corte delle quattro stagioni" presenta una vera da pozzo e alcune statue che ricordano lo stile delle ville venete lungo il Brenta. Nel 1770 i gestori dell'Ospedaletto decidono di trasformare la cucina in una prestigiosa sala da musica, che fu decorata da Jacopo Guarana e Agostino Mengozzi. Tutti gli affreschi sono naturalmente a tema musicale, il più notevole è senz'altro quello in fondo alla sala, titolato "Il concerto delle putte intorno ad Apollo". La sala della musica conobbe però una vita breve in quanto nel 1797, anche l'istituzione dell'Ospedaletto, così come di tutti gli altri ospedali, venne soppressa da Napoleone.

mercoledì 20 febbraio 2013

Fra Paolo Sarpi e la questione Chiesa-Stato

Venezia fin dalla sua fondazione aveva sempre difeso la sua indipendenza non solo politica ma anche religiosa; in particolare rifiutando la giurisdizione di Roma e del Papato. Difatti i rapporti tra la Repubblica di Venezia e la Chiesa di Roma furono sempre molto travagliati.
Un episodio chiave è quello legato alla figura di Fra Paolo Sarpi (teologo, storico e scienziato italiano dell'Ordine dei Servi di Maria). Siamo nel 1606 e a Venezia erano stati arrestati per reati comuni due sacerdoti (che a Venezia venivano giudicati dal Foro civile e non da quello ecclesiastico). Papa Paolo V chiese l’immediata consegna dei due religiosi e con l’occasione pretese anche che fossero abolite alcune leggi di privilegio civile grazie alle quali la Serenissima impediva la costruzione di edifici religiosi senza l’autorizzazione del potere statale, ed altre leggi atte a limitare il controllo di Roma sul clero veneziano.
Venezia naturalmente rifiutò e così il Papa emise scomunica verso la città intera, proibendo a tutto il clero veneziano di operare in alcun modo. La crisi fu retta in modo esemplare dal Doge Leonardo Donà, coadiuvato dal consigliere di Stato in teologia e diritto Fra Paolo Sarpi.
Si rispose al Papa che Venezia, nata in libertà, non intendeva render conto a nessuno delle cose temporali mentre in materia religiosa riconosceva come unico superiore il Signore Iddio e la sua Parola. La Repubblica pertanto vietò la pubblicazione della scomunica nei suoi territori e impose a tutto il clero di continuare senza alcuna alterazione l’esercizio delle pratiche religiose. Tutti gli ordini religiosi presenti a Venezia ubbidirono alla Repubblica; l’unica eccezione furono i Gesuiti, che infatti vennero cacciati dalla città.
Una notte mentre Fra Sarpi tornava verso casa fu assalito da due sicari, sul ponte di Santa Fosca, venne colpito da diverse coltellate ma sopravvisse; dei passanti riuscirono a fermare i sicari che vennero subito arrestati e così si seppe che erano stati inviati da Papa Paolo V per uccidere il frate che tanto abilmente stava difendendo Venezia contro la scomunica! Questo episodio rafforzò ulteriormente la durezza con cui Venezia rispondeva a Roma, ma sopratutto mise sotto una luce diversa la spinosa questione agli occhi delle altre grandi potenze europee.
In ogni caso il braccio di ferro tra Roma e Venezia durò qualche mese, ma alla fine Roma dovette cedere, e Venezia ne uscì vittoriosa, con la riaffermazione della sua doppia indipendenza.
Insomma la minaccia pontificia non aveva avuto altro risultato se non cementare ancor più il legame tra le varie categorie sociali veneziane, e rafforzare il senso di appartenenza ad un' idea di Stato che per l’epoca era davvero impensabile in qualunque altro Paese europeo.
E' interessante altresì notare che Fra Paolo Sarpi è il primo religioso nella storia ad affermare la necessità di tenere separati gli interessi temporali da quelli spirituali (nel secolo precedente, un altro veneziano, il nobile Gasparo Contarini, aveva espresso più volte questo concetto in diversi suoi scritti).

venerdì 19 ottobre 2012

San Samuele e i terrazzi alla veneziana

La chiesa di San Samuele fu fondata verso l'anno Mille con il contributo della famiglia Boldù. Nel periodo gotico subì varie trasformazioni, finché nel Seicento venne profondamente ristrutturata.
La Chiesa mantenne il titolo di parrocchia fino al 1810, quando fu destinata ad oratorio della Chiesa di Santo Stefano.
Il campanile risale al XII secolo e conserva intatta la sua struttura originaria, con la cuspide a forma piramidale. L'edificio a ridosso del campanile era già presente nel Settecento ma fu ristrutturato e ampliato nel 1915 dal pittore Sezanne.
Come tutte le chiese cittadine, anche quella di San Samuele ospitò, in passato, molte Scuole d'Arte, tra queste ricordiamo la Scuola dei Terrazzeri. La Scuola dei fabbricatori di pavimenti era stata fondata nel 1370 ed era unita con quella dei Mureri (muratori), dai quali si divisero nel 1583.
I solai veneziani sono costituiti di travi d'abete o di larice, disposti paralleli lungo il lato più breve della stanza. Poi sopra i travi portanti si posizionano dei tavoloni d'abete che sorreggono la pavimentazione vera e propria, pavimentazione che deve sopportare, senza danno, le vibrazioni e le oscillazioni delle case veneziane, costruite su pali di legno.
Questo pavimento è il tipico "terrazzo alla veneziana". E' costituito da un sottofondo composto da un impasto di cotto macinato e calce di circa dieci, quindici centimetri di spessore, posto direttamente sopra le assi del solaio. Sopra il sottofondo è steso il pavimento vero e proprio, formato da pezzi di marmo colorato, a volte anche con lapislazzuli e madreperla, seminati a mano, uno ad uno, come in un mosaico.

lunedì 10 settembre 2012

Antichi mestieri veneziani: pistori e calegheri

La chiesa di Santo Stefano a Venezia ospitò per un certo periodo la Scuola dei pistori (fornai).
I fornai erano molto abili nel confezionare il pan-biscotto, elemento indispensabile sulle navi che trascorrevano in mare settimane quando non mesi. Così dal 1402 il Consiglio dei X permise loro di radunarsi prima nella Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo e poi a Santo Stefano, più vicino ad alcune loro proprietà immobiliari.
Un'altra confraternita si radunava in quella chiesa già dal 1383: i calegheri (calzolai).
Non era una vera e propria Scuola d'Arte, ma piuttosto di assistenza e devozione, riservata ai calzolai operanti in Venezia in caso di malattia, per questo motivo dipendeva direttamente dai Provveditori sopra gli Ospedali.
Nel 1482 un membro della confraternita, Enrico Corrado, donò alla Corporazione un edificio in Calle delle Botteghe (n.c. 3127-3133); qui ebbero la loro sede, contraddistinta da alcune calzature scolpite sui pilastri, e il loro ospedale. Una lapide ricorda un restauro secentesco. Molto eleganti i due bassorilievi con le raffigurazioni di calzature e il rilievo con l'Annunciazione sopra il portale d'ingresso.
Piccola curiosità: dal 1737 tutti i calegheri che risiedevano in città dovevano accorrere sul posto dove scoppiava un incendio. Muniti di spago, cuoio ed altri strumenti del mestiere erano a disposizione per riparare eventuali guasti alle manichette delle pompe dell'acqua.

lunedì 21 maggio 2012

La chiesa di Santa Giustina a Venezia

La chiesa di Santa Giustina sarebbe stata fondata da San Magno (Altino, 580-670), ma come al solito la storia posticipa la fondazione all'anno 1106, data della prima documentazione riguardante l'edificio. Fu consacrata nel 1207 ed assegnata prima ai monaci di Santa Brigida e poi alle monache agostiniane di S. Maria degli Angeli di Murano. La chiesa fu completamente rifatta nel 1500, e subì ulteriori rimaneggiamenti nel 1600.
Nei documenti dell'epoca si ricorda un tabernacolo dell'altare maggiore "di marmo fino in due ordini di colonne corinzie e composite con nicchi di agate e corniole, il tutto in fondo di lapislazzuli".
Vi era custodito inoltre un sasso con l'impronta delle ginocchia di S. Giustina, genuflessa su di esso in preghiera.
L'interno della chiesa era ricco di opere di diversi artisti, tra cui Palma il Giovane, Marco Vecellio e Liberi. Durante le soppressioni napoleoniche la chiesa venne completamente spogliata. Nel 1844 la chiesa perse il coronamento curvilineo superiore (vedi immagine), quando fu trasformata in scuola militare.
Un tempo la chiesa di Santa Giustina era visitata solennemente dal doge il 7 di ottobre, data della vittoria navale di Lepanto avvenuta nel 1571.
Oggi è sede del Liceo Scientifico titolato a Giambattista Benedetti, matematico veneziano morto nel 1590. Fu allievo di Nicolò Tartaglia e a soli 23 anni pubblicò un'opera dove insegnava a risolvere tutti i problemi geometrici per mezzo di un compasso ad apertura fissa. Nell'opera sua più di rilievo "Il libro di diverse speculazioni fisiche e matematiche", espose la teoria della caduta dei gravi che ebbe influenza anche su Galileo Galilei.

sabato 5 maggio 2012

I funerali dogali

I primi funerali dei dogi si svolgevano senza grande pompa, ma col tempo la cerimonia divenne sempre più complessa e solenne.
Quando un doge moriva, l'addetto alle cerimonie comunicava la notizia al Collegio e il più anziano dei Consiglieri rispondeva: "Con molto dispiacere avemo sentido la morte del Serenissimo Principe di tanta bontà e pietà. Però ne faremo un altro".
Poi la morte veniva annunciata a tutta la cittadinanza dal suono a doppio per nove volte delle campane di San Marco e delle altre chiese della città. Da quel momento erano sospese tutte le attività delle magistrature ad eccezione dei Signori della Notte, e nelle chiese si celebravano messe a suffragio per tre giorni.
Il doge, subito dopo la morte, veniva imbalsamato e avvolto nel mantello d'oro, col corno ducale in testa, gli speroni calzati alla rovescia e lo stocco del comando a lato, con l'impugnatura verso i piedi; poi veniva esposto in una sala del suo appartamento in Palazzo Ducale, sopra una tavola coperta da tappeti e la sera successiva era trasferito sopra un cataletto, da marinai scelti, nella Sala del Piovego. Passati tre giorni dalla morte, si svolgevano i funerali, verso sera.
Il corteo, formato da migliaia di persone, entrava in Palazzo Ducale, attraversava la Sala del Piovego e usciva in Piazza San Marco. In testa sfilavano le Scuole piccole, seguite dalle Scuole grandi, gli ordini monastici e religiosi, il clero secolare, i chierici e i capitoli di San Pietro in Castello e di San Marco.
Sopra il cataletto, portato da ufficiali della Marina, si alzava un baldacchino di velluto color cremisi con ricami d'oro, sorretto da quattro confratelli della Scuola alla quale apparteneva il doge. Il cataletto era seguito dai parenti del doge che sfilavano vestiti completamente di nero, avvolti in lunghi mantelli con cappuccio, mentre le varie magistrature vestivano di rosso, a significare che il lutto era privato e la Serenissima eterna.
Il lungo corteo, concluso dai bambini dei quattro Ospedali cittadini, entrava in Piazza al suono delle campane di San Marco, girava intorno al pozzo posto davanti alla chiesa di San Giminiano (oggi non più esistente) e quando il cataletto giungeva davanti alla Basilica, le campane smettevano di suonare e i marinai, in segno di lutto, lo alzavano nove volte gridando, nel silenzio generale, "misericordia".
Dopo quel gesto, chiamato salto del morto, le campane riprendevano a suonare e il corteo imboccava le Mercerie per poi dirigersi verso S.S. Giovanni e Paolo. Lungo tutto il percorso le finestre delle case erano abbellite da tappeti ed arazzi e i soldati dalmati facevano doppio cordone da Piazza San Marco al Campo S.S. Giovanni e Paolo.
Arrivati all'interno della Chiesa, la bara veniva posta sopra un alto catafalco; attorno si disponevano i soldati e i marinai, mentre i parenti sedevano nel coro. Terminata l'orazione funebre, tutti si allontanavano in barca, mentre il Patriarca dava l'assoluzione alla salma.
Alla cerimonia dentro la chiesa c'era poca affluenza di pubblico, forse a causa di una strana profezia: la Chiesa sarebbe crollata in un giorno solenne!

martedì 14 febbraio 2012

La Chiesa di San Marcuola

La Chiesa di San Marcuola fu costruita tra il IX e il X secolo, nell'area anticamente denominata "Luprio", ed era titolata ai Santi Ermagora e Fortunato. Verso la seconda metà del Duecento, l'edificio religioso venne completamente distrutto da un incendio, e immediatamente ricostruito grazie all'intervento di alcune famiglie della zona, tra cui la famiglia Memmo.
Dalla pianta cinquecentesca del De Barbari si vede come la chiesa fosse in stile gotico, con il lato destro parallelo al Canal Grande, il lato sinistro prospettante sulla Fondamenta lungo il Rio della chiesa (oggi interrato), mentre la facciata dominava il Campiello, tuttora esistente, che fungeva da sagrato e dove sorgeva l'alta mole del campanile d'impostazione romanica con una cuspide ottagonale. Di esso rimane solo la base tra la chiesa e il vicino palazzo Memmo.
A fine Seicento l'architetto Antonio Gaspari presentò dei progetti per il rinnovo della chiesa, ma i lavori furono molto lenti e quando nel 1730 Gaspari morì, il nuovo edificio era appena abbozzato. L'opera fu continuata da Giorgio Massari, che completò l'edificio nel 1736, anche grazie al contributo statale generato dalla percentuale destinata alle opere pubbliche ricavata dalle entrate del gioco del lotto.
Solo la facciata sul Canal Grande risulta incompleta, come dimostrano i quattro plinti privi delle colonne corinzie previste e la grande superficie a mattoni con le scanalature e i fori che servivano per sostenere il rivestimento in pietra d'Istria. Interessante notare che la facciata in questione, seppur appaia come la facciata principale, risulta essere in realtà la facciata laterale, in quanto il corpo dell'edificio ha mantenuto l'orientamento originario, per cui entrando da quel lato l'altare principale si trova sulla destra. Questo perché, a differenza di quanto accadeva alle origini della storia veneziana, dal Cinquecento in poi si tende a considerare più importante l'affaccio sul Canal Grande, per aumentarne il prestigio.
L'interno della chiesa merita una visita non solo per le numerose opere pittoriche, tra cui due tele del Tintoretto, ma anche perché ospita la tomba di Johann Adolf Hasse e di sua moglie, la cantante Faustina Bordoni, allieva di Benedetto Marcello, della quale si può ammirare la bellezza in un quadro di Rosalba Carriera conservato a Ca' Rezzonico.
J.A.Hasse, compositore tedesco, divenne Maestro di Cappella agli Incurabili di Venezia nel 1727, contribuendo a scrivere pagine importanti della storia della musica a Venezia. Abitava proprio in Campo San Marcuola, dove morì il 16 dicembre 1783, forse per il dolore della morte della moglie Faustina avvenuta nel 1781.

mercoledì 1 febbraio 2012

Ospedale dei Forner a Venezia

A pochi passi dal Ponte della Madonna de l'Orto, al civico 3378, sorgeva un tempo l'Ospedale dei Fornai, costruito nel Quattrocento dalla medesima Scuola per i propri confratelli poveri, vecchi o infermi. Il termine "ospedale" veniva  utilizzato con un senso più ampio di luogo dedito non solo alla cura, ma anche al ricovero di anziani e a volte di orfanotrofio.
Dai documenti dell'epoca scopriamo che il terreno acquistato dai Fornai per la costruzione del detto edificio costò ben mille ducati! Una cifra davvero notevole per l'epoca, ma evidentemente la Scuola era ben florida.
Questa corporazione di mestiere aveva sede nella cappella absidale sinistra della Chiesa della Madonna dell'Orto; l'altare in questione era stato disegnato e realizzato dal tajapiera (scalpellino) Filippo Gasparo, il quale venne compensato con 85 ducati.
La Scuola dei Forner fu istituita nel 1445 e nella Mariegola (statuto) si trovano notizie interessanti: regole per cucinare i diversi tipi di pane e i relativi prezzi, gli anni di garzonato (apprendistato), le concessioni ai maestri per affittare i forni, le licenze per cucinare il panbiscotto per gli equipaggi delle navi e le specifiche per i tipi di legno da utilizzare per la cottura.
Sempre all'interno della Mariegola si trovano anche disposizione di carattere religioso, come pesanti multe per chi nominava il diavolo (forse ricordato dalle fiamme dei forni) e l'espulsione dall'Arte per chi non si confessasse e comunicasse almeno una volta l'anno!

domenica 9 ottobre 2011

Tiepolo Giambattista, ragazzo di Castello

Una targa nell'appartata calle che costeggia l'alberato Viale Garibaldi ricorda i natali di un figlio prediletto di Castello, che chiuse i suoi giorni nel 1770 presso la corte di Spagna, tra le dorature e gli stucchi del Palazzo Reale che, ormai ultrasettantenne, era stato chiamato ad affrescare.
La venezianità a tutto tondo di Tiepolo è attestata tuttavia da una presenza costante, paragonabile solo a quella di Tintoretto, presso le chiese della città.
Un percorso sulle tracce di Tiepolo a Venezia non può prescindere da questi luoghi:
- Chiesa degli Scalzi: ospitava un affresco sul tema della Casa di Loreto, perduto in seguito ad un bombardamento austriaco nel 1915; nella Cappella del Redentore si può invece ancora apprezzare la monocromia del Cristo nell'orto degli ulivi (1732); di un Tiepolo meno maturo sopravvive la volta della cappella dedicata a Santa Teresa d'Avila, che è rappresentata con gli occhi bassi, in preghiera, non in estasi dunque
- Chiesa di San Stae: Martirio di San Bartolomeo (1722), opera di formazione, sotto l'influenza del Piazzetta, chiaroscuro drammatico
- Chiesa di San Polo: Apparizione della Vergine a San Giovanni Nepomuceno (1754), martire boemo del Trecento, canonizzato nel 1729; la pala venne commissionata all'artista dal re di Polonia Augusto III che aveva donato alla chiesa le reliquie del santo
- Chiesa della Fava: Educazione della Vergine (1732)
- Basilica di San Marco, sacrestia: Adorazione del Bambino (1732), intima e calda come la precedente; la pala però viene esposta solo a Natale
- Chiesa della Pietà: affresco al centro della navata Incoronazione della Vergine e Celebrazione della Musica (1755) e le Virtù teologali e David
- Chiesa di San Francesco della Vigna: decorazione della Cappella Sagredo
- Chiesa di Santa Maria dei Derelitti (Ospedaletto): ciclo degli Apostoli e il Sacrificio di Isacco (1724), ancora un violento chiaroscuro alla maniera del Piazzetta
- Chiesa dei Santi Apostoli: Comunione di Santa Lucia, con in primo piano i macabri segni del martirio, in forte contrasto con la luminosità dell'ambiente e la bellezza della santa
- Chiesa di Sant'Alvise: Incoronazione, Flagellazione e Salita al Calvario (1740), caratterizzati da una religiosità tragica concentrata sulla Passione di Gesù, che strapperà alla Enciclopedia Cattolica un raro riconoscimento: "In queste tele il Tiepolo lascia ogni ricerca di bellezza formale per attingere unicamente al senso drammatico dell'epopea di Cristo"
- Chiesa dei Gesuati (che sarebbe più corretto però chiamare dei Domenicani): nella quale Tiepolo lavorò nel 1737 affrescandone il soffitto e l'abside.

lunedì 6 giugno 2011

Gli altari di San Giacomo di Rialto

Il legame tra la Chiesa di San Giacometto e il Mercato di Rialto è sottolineato dalla presenza, al suo interno, di molte Scuole di Mestiere ospitate presso i suoi altari.
L'altare maggiore fu sede fino alla fine del 1400 della Scuola dei Compravendipesce, trasferitasi poi ai Carmini. L'attività dei compravendipesce poteva essere esercitata solo dai pescatori di San Nicolò dei Mendicoli e di Poveglia, con limitazioni ben definite: dovevano essere stati pescatori per almeno vent'anni e dovevano aver raggiunto i cinquant'anni di età.
Lo stesso altare ospitò poi la Scuola dei Casaroli, cioè i venditori di formaggi, e la Scuola dei Ternieri, venditori di olio alimentare; la statua di San Giacomo, protettore di entrambe le confraternite, che decora l'altare è opera di Alessandro Vittoria.
L'altare a destra era sede della Scuola dei Garbeladori, misuratori e vagliatori di cereali e legumi. L'origine della Scuola sembra essere piuttosto antica, forse nella prima metà del Duecento. Un "misurador" appare in uno dei capitelli di Palazzo Ducale.
L'altare a sinistra apparteneva alla Scuola degli Oresi, gli orefici. L'altare è impreziosito dalla statua di S.Antonio Abate, patrono della Scuola, e da angeli, tutte opere eseguite in bronzo da Girolamo Campagna agli inizi del Seicento.
Gli orefici veneziani erano abilissimi nella tecnica della filigrana, detta opus veneciarum, nell'eseguire catenelle a maglia d'oro minutissime, e nel taglio dei diamanti.
Artisti celebri, come Alessandro Vittoria, furono anche abili orefici, da ricordare, ad esempio, la rilegatura in argento sbalzato, cesellato e dorato del Breviario Grimani, custodito nella Biblioteca Marciana.

venerdì 8 aprile 2011

Gli Esecutori contro la bestemmia

Sul muro retrostante la Chiesa di San Giacomo dall'Orio vi è una lapide, datata 12 agosto 1616, dove si proibiscono i giochi nelle vicinanze della chiesa, firmata dagli Esecutori contro la bestemmia.
I veneziani fin dalla seconda metà del Duecento, punivano severamente i bestemmiatori. Lorenzo Priuli, nei suoi "Diarii", agli inizi del Cinquecento, ricorda che a Venezia "due cose erano molto difficili da disfare: la bestemmia ed i vestimenti alla francese". Lo stesso Marin Sanudo racconta che il 5 maggio 1519, tre persone che bestemmiarono nell'osteria del Bo a Rialto furono condannate al taglio della lingua.
Fu così che nel 1537 fu istituita una specifica magistratura: gli Esecutori contro la bestemmia. Erano in numero di tre e venivano eletti dal Consiglio dei Dieci. Già nell'aprile del 1539 il Consiglio affidò agli Esecutori anche la punizione di reati relativi al gioco, agli scandali e alla tutela della moralità e del decoro.
Tra il 1586 e il 1627 si ebbero ben 250 denunzie! E i processi erano un centinaio l'anno.
L'importanza di questa magistratura è sottolineata dal fatto che era l'unica che poteva accettare denunce anonime.
Per capire questo notevole sforzo contro la bestemmia bisogna rifarsi alla sensibilità religiosa del Cinquecento: sono anni segnati da guerre, carestie ed epidemie, si fa quindi pressante il bisogno di ingraziarsi il favore divino, eliminando tutto ciò che ne poteva provocare la vendetta.

lunedì 31 gennaio 2011

L'erezione delle chiese di San Teodoro e di San Geminiano

Correva l'anno 552 e il re degli Ostrogoti, Totila, alla testa del suo esercito lacerava un'Italia infelice. L'imperatore bizantino Giustiniano aveva eletto il suo generale Narsete come comandante in capo di tutte le truppe a difesa dell'Italia, con il compito preciso di debellare gli Ostrogoti. Questi, alla testa dell'esercito bizantino, risalì la Dalmazia, l'Istria e giunse ad Aquileia. A questo punto si aprivano di fronte a lui due strade, una che si avventurava in acqua e navigando un po' in laguna, un po' in mare aperto, portava all'esarcato, l'altra terrestre, passando per Treviso. Quest'ultima, certamente più rapida, era però molto pericolosa, così Narsete decise di rivolgersi ai veneziani chiedendo il loro aiuto per il trasporto delle truppe. I veneziani immediatamente si impegnarono ad approntare i navigli e gli armamenti per il trasporto dell'esercito bizantino.
Durante la fase preparatoria il generale Narsete fece visita alla città di Rivoalto (l'antico nome di Venezia, toponimo all'origine di "Rialto"). A lungo si fermò ad esaminare da vicino la singolare posizione di questi luoghi e la sorprendente e industriosa attività della città lagunare, della quale aveva sentito parlare in termini entusiastici. Egli, prima di lasciare la laguna per intraprendere la spedizione militare, fece voto che in caso di vittoria sarebbe tornato a avrebbe fatto erigere a sue spese due chiese, una dedicata a San Teodoro, il santo greco primo patrono di Venezia, e l'altra a San Geminiano.
L'esito della guerra fu positivo: l'armata di Totila venne messa in fuga dopo una cruentissima battaglia, e tra i caduti si contò anche lo stesso capo ostrogoto. Narsete, fedele alla promessa fatta, fece ritorno a Rivoalto, approvò i disegni delle due chiese votive e ne ordinò l'erezione. I due templi sorsero uno di fronte all'altro, sulle due rive opposte del canale Batario che anticamente correva nello spazio che oggi è occupato dalla piazza San Marco.
La piccola chiesa di San Teodoro verrà poi inglobata nella basilica di San Marco, mentre la chiesa di San Geminiano verrà demolita ai primi dell'Ottocento per volere di Napoleone. Il canale Batario venne interrato nel 1156 allo scopo di rendere più ampia e comoda quella che sarebbe diventata la "piazza più bella del mondo".

(Fonte: M. Brusegan)

giovedì 11 novembre 2010

San Martino

Nel 751 Ravenna viene occupata dai Longobardi, e molti ravennati in fuga trovano rifugio nella laguna di Venezia. Già nel 936 compaiono le prime notizie di una chiesa dedicata a San Martino (ricordiamo che la cattedrale di Ravenna era dedicata appunto a San Martino) nell'area che verrà poi utilizzata per la realizzazione dell'Arsenale.
La chiesa di impianto veneto-bizantino venne poi completamente riedificata nel Cinquecento ad opera del Sansovino. In quella occasione venne realizzato anche l'edificio a fianco, come sede della Scuola devozionale di S. Martino, che custodiva un pezzo di tunica, un dito ed un osso della gamba di S.Martino. La reliquia della tibia fu ceduta alla Scuola di San Giovanni Evangelista in cambio di una somma utile al restauro della Chiesa, obbligando però i confratelli a portare la preziosa reliquia in solenne processione l’11 novembre di ogni anno, la tradizione avrà fine solo con la caduta della Repubblica.
Sulla facciata si trova una Bocca di Leone per le denunce segrete (che però per poter esser prese in considerazione non potevano essere anonime). Sulla sommità della facciata abbiamo due statue: San Martino Vescovo (300 dc) e San Martino Papa (600 dc), il primo si festeggia l’11 novembre il secondo il giorno seguente. L'11 di novembre era anche il giorno per il rinnovo dei contratti d'affitto: “far samartin” significava infatti "traslocare". Ma soprattutto l’11 novembre è la festa dei bambini che girano per le calli cantando la filastrocca di San Martino e rumoreggiando con tamburi improvvisati, in cambio ricevono monetine o dolci di pastafrolla a forma di cavaliere che ricordano quello del bassorilievo sopra la Scuola di San Martino.


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giovedì 14 ottobre 2010

Chiesa dei Santi Biagio e Cataldo

Verso l'estremità occidentale della Giudecca dove, alla fine dell'Ottocento sorse l'imponente mole del Mulino Stucky, esisteva una modesta chiesa a servizio dei pellegrini della Terrasanta, dedicata ai Santi Biagio e Cataldo. La prima consacrazione della chiesa risale al 1188. Nel 1222 la beata Giuliana dei Conti di Collalto giunse su questa isola dove fondò un monastero annesso alla preesistente chiesa. Nel XVI secolo l'intero complesso subì un importante restauro, e la chiesa venne completamente rinnovata per mano di Michele Sanmicheli. Un ultimo restauro venne effettuano agli inizi del '700, sotto la direzione di Domenico Rossi e di Giorgio Massari. I lavori comportarono anche la demolizione del coro pensile le cui colonne furono impiegate per realizzare il portico laterale della vicina chiesa di S. Eufemia. Si rinnovarono anche gli arredi, gli altari e la decorazione pittorica con nuovi dipinti e pale d'altare.
A giudicare dalla vastità e dal numero degli ambienti, oltre ai fatti storici a cui fu legata (tra i quali la visita di Pio VII nel 1800), si deve pensare che la Chiesa e il monastero dei Santi Biagio e Cataldo avessero raggiunto nei secoli una notevole consistenza edilizia e una sempre maggiore importanza.
Ciò non valse però ad impedirne la soppressione nel 1810 e la conseguente spoliazione. Fu dapprima utilizzato come ospedale per malattie infettive, quindi il complesso passò in mano a privati che iniziarono a demolirlo per ricavare materiale da costruzione. Nel 1882 quel poco che restava fu raso al suolo e disperso.




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