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sabato 9 gennaio 2021

Cortigiane e libertinaggio a Venezia 03

 


Il 26 marzo 1511 un tremendo terremoto colpiva la città facendo rovinare alcune case e vacillare le due colonne di Piazzetta San Marco.
La mattina seguente il patriarca Antonio Contarini, si presentava al Collegio Ducale per affermare che quel terremoto era necessariamente un castigo mandato dall'alto a Venezia per i tanti peccati che vi venivano commessi, primo fra tutti quello della carne.
In particolare il Patriarca volle ricordare un fatto avvenuto l'anno prima, quando alcuni giovani patrizi osarono ballare tutta una notte con le monache del convento della Celestia, al suono di pifferi e trombe, ed essendosi recato lui stesso a rimproverarle, tutte si misero alla porta rifiutando di farlo entrare.

Ma né il terremoto, né tanto meno la sua predica, sortirono particolare effetto, e tutto continuò come sempre.


Secondo la testimonianza di Marin Sanudo, agli inizi del Cinquecento, le meretrici in città sommavano ad 11.654, un numero impressionante se si pensa che la popolazione totale era di circa 130.000 persone!

Facendo un conto sommario, significa che circa una donna ogni cinque era prostituta di professione.

Ma, essendo così tante, non c'era abbastanza lavoro per tutte, così avvenne quella che forse è la prima manifestazione sindacale di protesta nel mondo: le meretrici scesero in Piazza San Marco per lamentarsi del poco lavoro e chiedendo un intervento dello Stato.

Le loro proteste furono ascoltate e il Maggior Consiglio dispose che ben mille di queste si trasferissero al campo di Mestre, ove era allora attendato l'esercito di terra veneziano. E si decise di licenziare tutte quelle fra esse che essendo foreste, abitassero a Venezia da meno di due anni.

Insomma lo Stato ascoltava e, se possibile, aiutava tutte le categorie professionali.


Ma ciò che colpisce maggiormente è che le meretrici non erano soggette ad alcuna tassazione!

Giordano Bruno nella sua commedia il "Candellajo", parlando di Venezia, dice: "Ivi le prostitute sono esenti da ogni aggravio. Certo, se il Senato volesse umiliarsi un poco e fare come gli altri, si farebbe un po' più ricco..." ma evidentemente la Repubblica era già sufficientemente ricca!


Tale Cesare Vecellio ci ha lasciato una descrizione minuta dei costumi delle meretrici dell'epoca: "Le pubbliche meretrici non stanno solo nei luoghi loro preposti, ma si trovano ovunque in città. Vestono, a volte, come uomini, nondimeno l'inegualità della fortuna fa sì che non tutte vadano vestite pompose allo stesso modo. Sulle carni portano camicia accomodata di sottigliezza ciascuna in base alla merce che ha da spendere. Molte di loro si trattengono per strada cantando canzonette amorose con poca grazia.

Alcune però, fra tante, oltreché colla bellezza del corpo, sollevavansi sopra le loro pari colle doti dello spirito e coll'educazione onde erano fornite. Esse erano più propriamente denominate "cortigiane". Le cortigiane si dedicavano alla musica e non si mostravano ignare alle lettere, e potevano paragonarsi in parte alla famose etére, sospiro degli uomini più distinti della Grecia. Non è quindi da stupirsi se la loro condizione destava l'invidia d'una tra le dame galanti di Brantome, la quale, avrebbe voluto cangiar tutto il suo avere in biglietti di banca e recarsi a Venezia per condurre colà vita cortigianesca, piacevole e felice."


Le cortigiane costituivano nella Venezia dei secoli d’oro una categoria sociale e professionale distinta da quella delle comuni meretrici.
Pur esercitando anch’esse la prostituzione, le cortigiane si distinguevano non solo perché potevano contare su lauti guadagni e protezioni influenti, ma anche in virtù della loro classe sociale, della cultura e talvolta anche del talento artistico e letterario, che erano libere di esercitare pubblicamente proprio grazie alla loro particolare condizione.


Infatti, nascere nobile o comunque di famiglia ricca, non era poi così auspicabile, in quanto avevi solo due opzioni : andare in sposa a qualcuno che manco conoscevi, o finire in convento.

Ecco quindi che il mestiere di cortigiana appare come una via di fuga.

Una fuga che tra l'altro comportava anche la possibilità di ottenere un'indipendenza economica che ti slegava dagli obblighi famigliari.

Ecco perché così tante donne scelgono questo mestiere che le rendeva libere e al contempo ammirate e invidiate.


In questo secolo venne pubblicato addirittura un catalogo delle cortigiane con tanto di indirizzi, prezzi e nomi della relativa matrona (che spesso era la madre...).


La più celebre tra queste fu senz’altro Veronica Franco.
Nata da famiglia benestante si sposò giovanissima con un medico, ma abbandonò presto il letto coniugale per darsi alla vita libera. Era anche poetessa e di buona cultura, aveva diverse amicizie tra letterati e nobili, e venne anche ritratta da Tintoretto che le donò poi il quadro.

Ecco, il fatto in sé che un pittore come Tintoretto avesse ritratto la Veronica Franco ci dà una misura della considerazione sociale che avevano queste cortigiane.

La sua fama era tale che quando Enrico III re di Francia venne in visita a Venezia nel 1574 volle conoscerla e passò una notte con lei. A ricordo dell’incontro, Veronica donò al re il proprio ritratto e due sonetti.


Altrettanto celebre fu Angela del Moro, che per esser figlia d'uno zaffo (cioè di uno sbirro), era soprannominata la Zaffetta.
Il cardinale Ippolito de' Medici, venuto a Venezia nel 1532, scelse proprio la Zaffetta per la prima notte del suo arrivo in città.

E Pietro Aretino ne faceva il più sfoggiato elogio, invitandola in diverse occasioni a cena, unitamente al Tiziano e al Sansovino.


Si può ben dire che in Pietro Aretino fosse personificato il libertinaggio di Venezia, città da lui abitata per moltissimo tempo e quivi sepolto.

Dedito, per pubblica fama, alla pederastia, si tenne in casa, in epoche diverse, alcuni giovanotti, tra cui un certo Polo che fece maritare con Pierina Riccia, facendosela però cedere ad uso proprio ed amandola assai, non tanto però da non perseguitare in tutti i modi Angela Tornimben, moglie di Gian Antonio Serena. Che fece allora Gian Antonio per vendicarsi? Indusse Pierina a fuggire dalla casa di Aretino insieme a Caterina Sandella, altra amica dell'Aretino, dalla quale ebbe una figlia, Adria, il cui padrino di battesimo era il tipografo Francesco Marcolini, la cui moglie Isabella, intratteneva pur essa amorosa tresca collo scostumatissimo Aretino!

Pietro Aretino è conosciuto principalmente per alcuni suoi scritti dal contenuto considerato licenzioso (almeno per l'epoca), fra cui i conosciutissimi Sonetti lussuriosi.

Ma scrisse anche opere di contenuto religioso.Questa, che oggi potrebbe apparire incoerenza, fu in realtà, per molti versi, un modello dell'intellettuale rinascimentale.

In una sua lettera scrisse: «Mi dicono ch'io sia figlio di cortigiana; ciò non mi torna male; e tuttavia ho l'anima di un re. Io vivo libero, mi diverto, e perciò posso chiamarmi felice»
E dove avrebbe potuto vivere uno così, se non a Venezia?





lunedì 28 dicembre 2020

Cortigiane e libertinaggio a Venezia 01

 

Nel quattordicesimo secolo Venezia raggiunse l'apice della sua grandezza.

Grandi erano le ricchezze che vi transitavano e di conseguenza numerose le persone che vi risiedevano stabilmente o per limitati periodi legati a trattative commerciali.

Naturalmente tra i vari servizi di accoglienza offerti non mancava certo la prostituzione.

Le nuove leve, se così possiamo chiamarle, provenivano per lo più dalle numerose orfane (soprattutto figlie illegittime di nobili, abbandonate) che popolavano le strade della città.

Alcune di queste venivano salvate da organizzazioni religiose o statali, ma molte erano quelle che non si riusciva a soccorrere.


Tra i soccorritori ricordiamo fra' Pieruzzo d'Assisi, francescano, che di contrada in contrada raccoglieva gli orfani che riusciva a trovare per portarli nelle case di proprietà dei frati intorno alla chiesa di San Francesco della Vigna. Nel 1346 aprì un vero e proprio istituto per trovatelli in parrocchia San Giovanni in Bragora col nome di Pietà. Primo dei quattro cosiddetti "ospedali" nei quali ai bambini veniva insegnato un mestiere mentre alle bambine si insegnava musica e canto.


Ma queste attività di assistenza non erano certo in grado di arginare del tutto il fenomeno della prostituzione, tanto più che non necessariamente le meretrici erano orfane abbandonate, anzi spesso erano avviate al mestiere dalle loro stesse madri.

Inoltre capitava anche che alcune ragazze venissero rapite alle loro famiglie nelle campagne dell'entroterra per costringerle a prostituirsi in città.


Alcuni storici dell'epoca lamentavano il degrado dei costumi dell'epoca, ma questi costumi non sono certo mai mancati nella storia dell'uomo presso qualunque società; ciò che distingueva però la prostituzione a Venezia era che qui era strettamente regolamentata dallo Stato, ma ne parleremo meglio in un prossimo articolo.


Per pura curiosità possiamo narrare qualcuna delle storie più celebri che diedero scandalo all'epoca.

Ad esempio la tresca tra il doge Andrea Dandolo e Isabella Fieschi, moglie di Luchino Visconti, duca di Milano.

Isabella, dopo aver adornato di molte ramosa corna la testa del povero marito, simulò nel 1347 di aver fatto voto di recarsi a Venezia per la festa della Sensa.

Partì quindi da Milano, con il suo corteo di dame, e arrivò a Venezia accolta con grandi feste e onori dalla Repubblica. Ma appena giunta in città, si diede alla più sfrenata licenza, e il doge stesso, Andrea Dandolo, fu uno di quelli con cui largheggiò dei propri favori, dando agio anche alle dame del suo seguito di ricercare i propri piaceri (per l'esattezza nel documento dell'epoca viene utilizzata la parola "pastura").

Il viaggio, possiamo letteralmente dire, di "piacere" di Isabella, costò addirittura la vita al povero Luchino, il quale avendo avuto notizia dei sollazzi della moglie a Venezia espresse l'intenzione di vendicarsi, ma fu prevenuto da Isabella con un veleno che lo portò brevemente alla morte. 

Altro esempio riportato nelle cronache è la storia di Lodovica Gradenigo, consorte del doge Marino Falier. Si narra infatti che durante una festa da ballo datasi in Palazzo Ducale la sera del Giovedì grasso del 1355, il nobile Michele Steno veniva cacciato dalla sala per alcuni eccessi dimostrati durante la festa, il quale però si vendicò scrivendo sopra il seggio del Falier il noto epigramma: "Marin Falier da la bela mugier. Altri la gode e lu la mantien!". Si dice che Marino Falier se la prese così tanto per questa frase che decise di ordire la nota congiura di Stato, che fu poi repressa e che terminò con la decapitazione del doge.


Interessante, anche se per motivi diversi, è la storia di Luigi Venier, figlio del doge Antonio Venier, il quale era l'amante della moglie del nobile Giovanni dalle Boccole. Accadde che la moglie si stufò di Luigi e non volle più donargli le sue grazie, questi però non la prese bene e pensò di attaccare sul ponte di Cà dalle Boccole due grandi corna accompagnate da una scritta volgarmente pesante contro la famiglia Dalle Boccole, e per questo veniva catturato e condannato a due mesi di prigione, seppur figlio del doge stesso. E' interessante il fatto che il Doge Antonio Venier, il quale avrebbe potuto intervenire per far almeno diminuire la pena, lasciò che la giustizia facesse il suo regolare corso, affermando che la giustizia è uguale per tutti.


Abbiamo visto qualche scandalo legato al mondo della nobiltà, ma anche i preti non volevano esser da meno e innumerevoli sono i casi di scandalo raccontati nelle cronache. Ricordiamo ad esempio, don Stefano Pianigo, piovano di San Polo, che sedusse una vedova, tale Cristina, e poi la diede in sposa a tale Nicoletto d'Avanzo, col patto di potersi congiungere con la donna, quando più gli fosse piaciuto.


 

venerdì 3 febbraio 2012

Nuovo itinerario teatrale de L'altra Venezia

L'altra Venezia è lieta di annunciare l'inserimento di una nuova proposta di visita: Itinerario teatrale sulle cortigiane e il libertinaggio a Venezia.
L'itinerario proposto è una passeggiata tra calli e campi alla ricerca di quei luoghi che raccontano la storia delle cortigiane e del libertinaggio a Venezia.
Partendo dal Trecento fino alla caduta della Repubblica nel 1797 si scopriranno usi, leggi e curiosità legate a questo aspetto che, tra gli altri, ha contribuito a rendere celebre la Serenissima.
Verranno narrati fatti realmente accaduti e aneddoti di personaggi più o meno conosciuti che, tra conventi e palazzi nobiliari, hanno fatto la storia del libertinaggio a Venezia.
La narrazione si alternerà agli interventi di due attrici professioniste che reciteranno scene ispirate ai fatti descritti. Una sorta di teatro per strada (o meglio per “calle”) che renderà viva e vivace la narrazione appena ascoltata, con la verve e l'umorismo caratteristici della migliore commedia veneziana.
Per rendere al meglio l'atmosfera dell'argomento ed apprezzare le parti recitate, l'itinerario si svolge tipicamente di sera, in una Venezia avvolta dalla magia e dal mistero delle sue notti.

L'itinerario viene svolto per un massimo di 20 persone, a date prestabilite, ma è possibile anche, previa richiesta con sufficiente anticipo, organizzarlo a richiesta.
La durata è di circa due ore.

Per informazioni e prenotazioni: iinfo@laltravenezia.it

lunedì 26 settembre 2011

Streghe a Venezia

A parte qualche caso sporadico (come tale Francesco Barozzi che si considerava un mago), fatture, magie e stregonerie erano a Venezia ad esclusivo appannaggio delle donne, o loro attribuite dalla cultura dell'Inquisizione. Contrariamente alla tradizione, le streghe della Serenissima, o quelle che si ritenevano tali, non professavano culti e patti diabolici con malefizi mortali, sabba od orge demoniache, ma si limitavano per lo più a piccole magie e fatture "casalinghe" riguardanti la salute oppure i tormenti amorosi.
Le streghe veneziane non adoravano il demonio ma al massimo lo invocavano, pagandogli addirittura in anticipo i favori gettando delle monete e manciate di sale sul fuoco; l'unica raffigurazione diabolica che conoscevano era quella presente tra le carte dei Tarocchi.
A volte si ritrovavano presso il cimitero ebraico del Lido, luogo considerato carico di poteri occulti.
Si trattava in sostanza di una stregoneria spicciola, patrimonio dei ceti più poveri dai quali provenivano la maggioranza di queste donne, che applicavano antichi segreti e pratiche di dubbia efficacia. I segreti venivano rivelati di generazione in generazione nelle notti di Natale o in punto di morte e venivano poi usati come mezzo di sostentamento.
Alcune presunte streghe erano anche cortigiane: c'era la convinzione che sapessero fare fatture e incantesimi affinché gli uomini si innamorassero di loro.
Queste fattucchiere sarebbero rimaste anonime se il Sacro Tribunale dell'Inquisizione non si fosse accanito nella caccia alle streghe. Nel resto dell'Europa gli Inquisitori sfogavano le proprie frustrazioni su povere donne che venivano plagiate, sottoposte a torture e mandate al rogo. Per fortuna, data la particolarità della società veneziana, nessun rogo fu mai acceso nel territorio della Serenissima e le torture vennero applicate in pochissimi casi; questo anche perché il governo veneziano, sempre mal disposto nei confronti della Chiesa di Roma, aveva saputo, sottilmente e tra le quinte, conferire un indirizzo speciale alla questione.

(fonte: Brusegan)