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lunedì 17 settembre 2012

Morosini: palazzi, dogi, amanti e gatti

Palazzo Morosini fu portato in dote da Laura Priuli, vedova di Francesco Malipiero, quando sposò Pietro Morosini, rimasto vedovo di Maria Morosini.
La sontuosa dimora era composta da due edifici separati da un cortile interno; le facciate di terra e di acqua presentavano caratteri diversi e quella sul campo era affrescata da Antonio Aliense.
A fine Settecento, Gianantonio Selva aveva rimodernato l'intero edificio che raccoglieva armi, trofei, sculture e dipinti preziosi. Tra i suoi ospiti si ricorda Casanova, amico di Lorenzo II Morosini. Tra i due era nata una sincera amicizia e lo stesso Lorenzo invitava Casanova a frequentare il suo casin in Calle Casselleria, dove il Morosini incontrava l'amante, Paolina Stratico, sorella del suo professore!
I tesori di Palazzo Morosini furono dispersi nell'asta del 1894. Diverse opere si trovano oggi al Museo Correr e a Ca' Rezzonico; mentre l'affresco di G.B. Tiepolo "L'apoteosi del Peloponnesiaco" si trova a Milano, in Palazzo Isimbardi.
Naturalmente il personaggio più illustre della famiglia fu Francesco Morosini. Francesco veniva descritto come uomo di alta statura, carnagione chiara, occhi azzurri e capelli biondo rossicci, particolare comune a vari membri della famiglia.
Il futuro doge si fece valere nella guerra di Candia e nella famosa riconquista del Peloponneso (durante la quale fece bombardare il Partenone di Atene che i Turchi avevano trasformato in polveriera). L'elezione al dogado avvenne nell'aprile 1688, mentre Francesco era ancora impegnato nella campagna del Peloponneso. Solo alla conclusione dell'impresa tornò in città, dove venne accolto in modo trionfale l'11 gennaio 1690.
Morosini però è ricordato anche per alcune sue particolarità: era molto ambizioso, facile all'ira ma anche al perdono; non accavallava mai le gambe, considerandolo gesto poco dignitoso, mangiava con posate d'argento dorato, e amò a tal punto il suo gatto che alla sua morte lo fece imbalsamare!

lunedì 23 aprile 2012

Domenico Michiel, uno dei più grandi dogi di Venezia

Sulla facciata della Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo (S.Zanipolo per i veneziani), si trovano alcune urne funerarie. La prima a destra del portale è di Marco Michiel, fondatore della chiesa domenicana di San Pietro Martire a Murano, riconoscibile per la presenza dello stemma di famiglia: uno scudo con ventun piccoli cerchi.
I Michiel erano tra le dodici più antiche famiglie di Venezia, il capostipite era Angelo Frangipane, senatore romano, venuto a Venezia con altri due fratelli. Venne soprannominato “el Michiel” per la forza e la bontà, paragonate a quelle dell’arcangelo Michele. Lo stemma venne modificato così come lo vediamo sulla tomba di Marco Michiel, da Domenico Michiel, uno dei più grandi dogi di Venezia.
Nell'aprile del 1123 egli partì con una flotta di ben 40 galere in soccorso di Baldovino II re di Gerusalemme, prigioniero dei saraceni. La flotta veneziana, giunta in prossimità del porto di Ascalona fu circondata dalla flotta egiziana accorsa a difesa del sultanato di Tiro; i veneziani riuscirono però a vincere. L'azione continuò quindi, muovendo assedio alla stessa Tiro che fu presa dopo cinque mesi. I crociati accolsero il doge da trionfatore e gli offersero il regno di Gerusalemme, disperando di poter liberare Baldovino II. Ma gli interessi dogali erano rivolti a Bisanzio che aveva nel frattempo disatteso gli editti e la "Bolla d'oro", consentendo ai pisani di avere un quartiere e liberi scambi in Costantinopoli. Stante la situazione Domenico Michiel volse la flotta verso i territori sotto l'ègida di Bisanzio e del suo Imperatore Calojanni. Attaccò e saccheggiò successivamente le isole di Rodi, Samo, Chio, Lesbo, Andros, Cefalonia e la citta di Modone. In Adriatico, attaccò l'Ungheria di Stefano II e riconquistò le città dalmate di Traù e Spalato nel maggio del 1125. Nello stesso mese Baldovino II fu liberato e concesse al doge i privilegi già concordati con il regno di Gerusalemme. L'imperatore di Bisanzio, messo alle strette, chiese la pace e nel 1126 emise una nuova "Bolla d'oro" nella quale si riaffermavano i privilegi di Venezia a Costantinopoli e nei territori imperiali.
Il ritorno del doge fu un trionfo. Fu in quella occasione che Domenico Michiel fece modificare lo stemma di famiglia (prima era uno scudo argentato con tre fasce azzurre) con i piccoli cerchi che rappresentano le monete fatte coniare a memoria della sua impresa.
Sempre in quella circostanza è rimasto famoso il gesto del Doge Michiel di spogliare le galee veneziane degli armamenti necessari alla navigazione per rassicurare i crociati che temevano di essere abbandonati dalla flotta veneziana in caso di sconfitta.

giovedì 1 marzo 2012

Corte dei Muti

In Corte dei Muti (famiglia di origine lombarda), a pochi passi da Campo dei Mori, al numero civico 3450 si trova una pietra da camino seicentesca in pietra di Nanto. Le pietre da camino sono pietre refrattarie poste, un tempo, all'interno dei caminetti dei palazzi cittadini, usate per evitare che il calore si disperdesse all'esterno. Quando i caminetti non furono più utilizzati, queste pietre vennero utilizzate come particolari decorativi delle facciate delle case.
D'altra parte a Venezia era prassi comune riutilizzare parti edili per via della difficoltà di recuperare materiale da costruzione.

Subito al di là del vicino rio, si nota uno scudo della famiglia Rizzo, il cui simbolo (come spesso accadeva nella scelta araldica veneziana) è il riccio, che ne ricorda il nome.
Il riccio è un animale dai molti significati simbolici: quando è in pericolo si appallottola su se stesso, un atteggiamento quindi di difesa e non d'attacco; inoltre è sinonimo di intelligenza, poiché quando costruisce la sua tana la crea sempre con due ingressi, così se uno è minacciato può usare l'altro; infine si dice che faccia cadere gli acini d'uva per può infilarli sugli aculei e portarli ai cuccioli, un esempio insomma di genitore premuroso. Anticamente la sua carne era usata come farmaco contro la calvizie, forse perché gli aculei hanno l'aspetto di capelli fortissimi!

(Foto di Fausto Maroder)

martedì 21 febbraio 2012

Palazzo Foscarini Giovanelli

Accanto all'antica sede della Scuola dei Tiraoro e Battioro (a San Stae), scorre il rio Mocenigo, e al di là del rio sorge il Palazzo Foscarini Giovanelli, affacciato sul Canal Grande.
L'edificio venne realizzato a metà del Cinquecento per volere dalla famiglia Coccina, commercianti in gioielli. Nel 1581 fu venduto a Luca Antonio Giunta, di origini fiorentine, la cui famiglia esercitava l'arte della stampa a Venezia dal 1482. Nel 1625 Lucrezia e Bianca Giunta sposarono i fratelli Nicolò e Renier Foscarini. Da allora il palazzo fu abitato da quel ramo della  famiglia Foscarini, fino al 1755, quando il palazzo venne affittato ala famiglia Giovanelli, di origine bergamasca.
Nel 1771 i Giovanelli vi ospitarono Leopold Mozart e suo figlio Wolfgang in visita in città. In questa splendida dimora abitò anche il re di Danimarca, Federico Cristiano IV.
Il palazzo aveva le pareti della corte interna affrescate dallo Zelotti con rappresentazioni di figure nude e di suonatori affacciati a finte finestre intervallate da finestre vere.
La famiglia Foscarini è presente nei documenti veneziani fin dal XII secolo ed era originaria di Altino. Uno dei suoi membri più interessanti fu Marco, nato nel 1696. Uomo di vasta cultura, studiò all'Accademia di Bologna e quando tornò a Venezia si dedicò alla raccolta di volumi preziosi, anche ricorrendo a volte ad astuti sotterfugi pur di ottenere rari manoscritti.
La sua biblioteca divenne col tempo una delle più ricche in città, non solo per i numerosi volumi, ma anche per la ricercatezza ed eleganza della rilegatura, tutti i testi infatti erano rilegati in cuoio rosso con lo stemma dei Foscarini.
Purtroppo nell'Ottocento la biblioteca fu dispersa assieme alle fortune della casata. Lo stato austriaco s'appropriò di ben 497 codici, inviati alla Biblioteca Imperiale di Vienna, mentre i libri stampati furono venduti alla spicciolata.
Marco Foscarini, oltre a raccogliere libri e manoscritti, si dilettava con lo studio della poesia latina e italiana, egli stesso scrisse componimenti poetici. Quando Marco raggiunse l'età prestabilita, entrò nella carriera politica, raggiungendo i più alti vertici. Nel 1762 venne eletto doge, ma il suo dogado fu breve: egli infatti, appena eletto, si sentì male e la sua salute continuò a peggiorare.  Al suo letto furono convocati nove medici e quattro chirurghi che lo sottoposero alle cure più assurde: fu salassato cinque volte, gli furono imposti quaranta clisteri, innumerevoli frizioni e medicine per bocca, gli vennero estratti i calcoli alla vescica e asportate emorroidi, tutti interventi che gli procurarono febbri altissime, capogiri, dolori, difficoltà respiratorie e ovviamente... la morte!

lunedì 16 gennaio 2012

Jacopo Antonio Marcello e l'impresa impossibile

La presenza della famiglia Marcello a Venezia è documentata con certezza dal 982, quando fu sottoscritto l'atto di donazione dell'isola di San Giorgio Maggiore all'ordine benedettino. Tra i firmatari figura anche un Pietro Marcello, dal quale ha formalmente inizio una linea genealogica che giunge fino ai giorni nostri, e che può vantare anche un doge, Nicolò, eletto nel 1473.
Nel corso dei secoli i Marcello si distinsero soprattutto nel mestiere delle armi, dando alla Repubblica molti comandanti di terra e di mare. Nel XV secolo Jacopo Antonio Marcello, grande umanista e mecenate, combatté valorosamente contro i Visconti, signori di Milano. In quel tempo l'esercito milanese assediava numerose città venete e pareva impossibile contrastarlo via terra. Jacopo Antonio ebbe allora la folle idea di trasportare una quarantina di navi attraverso le colline che separano l'Adige dal Lago di Garda, per aggirare il nemico e poter combattere sull'acqua, habitat ideale per l'esercito veneziano. L'impresa era ardita, ma il coraggio fu premiato, dopo giorni di trascinamento delle galee tra i boschi, su dei rulli di legno, il lago fu raggiunto. Venezia sorprese e sbaragliò così le truppe viscontee. E di lì a poco liberò Verona, Brescia, Ravenna e Ferrara.

venerdì 23 dicembre 2011

Palazzo Foscarini ai Carmini e le sue stranezze

Un aneddoto, circolante a Venezia nel Settecento, ci rende ragione di quanto ricchi fossero i Foscarini: era voce comune, infatti, che nel loro palazzo situato di fronte alla Chiesa dei Carmini vi fossero più di 200 stanze e nemmeno una sedia per timore che gli ospiti, sedendosi, potessero rovinare le preziose decorazioni degli interni.
Un vero scrigno di tesori artistici, quindi, testimonianza della passione per l'arte e del mecenatismo che caratterizzarono molti componenti della prestigiosa famiglia, la quale possedeva già numerosi palazzi in città.
In ogni caso la famiglia era nota anche per certe loro stranezze. Il loro membro più illustre, Marco Foscarini, eletto doge nel 1762 era uomo particolarmente erudito, ma noto soprattutto per la sua esagerata passione per i coralli, tanto che il celebre letterato Gasparo Gozzi, spesso suo ospite nel bel palazzo di famiglia, si lamentava del fatto che ogni conversazione, in ogni momento della giornata, dovesse riguardare quell'argomento tanto insolito!
Oggi il palazzo è in parte privato e in parte occupato da una delle sedi dell'Università Ca' Foscari di Venezia, ma il suo stato di conservazione non è ottimale e necessita di un integrale restauro.