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lunedì 16 febbraio 2015

San Marco, il leone alato e la Repubblica di Venezia

Il leone alato (con il libro, ma anche alle volte con un calamaio) è il simbolo dell'evangelista San Marco, patrono della Serenissima Repubblica di Venezia. 
I quattro evangelisti sono tutti accompagnati da un simbolo preciso: oltre al leone di San Marco, l'iconografia ricorda il toro di San Luca, l'angelo di Matteo e l'aquila di Giovanni.
L'origine di questi simboli è antichissima e sembra doversi trovare in un brano di Ezechiele (1, 5-14) con la visione di Dio in trono circondato da quattro esseri animati (tetramorfo). Nell'Apocalisse la visione è di Cristo in trono circondato da 24 vegliardi, ciascuno con un'arpa, da sette lampade di fuoco e dalle stesse quattro creature di Ezechiele che divengono poi i simboli degli evangelisti.
Nel Medioevo, gli esegeti trovarono anche la giustificazione dei simboli e precisarono che San Marco è rappresentato dal leone in quanto il suo Vangelo (il più breve) inizia con la voce maestosa di Giovanni Battista che "ruggisce" nel deserto "conforme a quanto sta scritto in Isaia profeta".
Avventurosa la vita di questo santo, compagno degli Apostoli, figlio di una Maria vedova, proprietario di una casa a Gerusalemme ove si rifugia Pietro uscito miracolosamente di prigione. Iniziato alla vita apostolica dal cugino Barnaba, Pietro lo considera come un figlio, mentre i rapporti con Paolo sono più difficili (e come dargli torto...).
Antiochia, Cipro, Roma sono alcune delle tappe dei viaggi di Marco, il quale avrebbe poi predicato in Alessandria d'Egitto dove sarebbe stato martirizzato al tempo di Traiano, col fuoco o forse trascinato per le vie con una fune legata al collo.
Intorno all'anno 828, Buono (tribuno di Malamocco e Rustico da Torcello (mercante) sbarcano, con altri compagni, in Egitto e trafugano il corpo di San Marco, già allora venerato dai cristiani in Oriente, sostituendolo nell'urna con quello della Beata Claudia. Per sfuggire ai controlli, la reliquia viene nascosta tra carni di maiale, considerata immonda dai Saraceni.
L'ultimo giorno di gennaio dell'anno 829, San Marco viene accolto trionfalmente dal Doge e dai veneziani, e diviene il simbolo della nascente Repubblica, sostituendo San Teodoro di origine greca, anche in un empito di autonomia nei confronti dell'Impero d'Oriente.
Comincia subito la costruzione della basilica ad in essa viene posto il corpo di San Marco, forse nella cripta; poi ritrovato nel 1094 in un'urna dentro ad un pilastro. Davanti a questo pilastro è accesa una lampada perenne a ricordo dell'avvenimento. La scoperta del 1811, in epoca napoleonica, e la ricognizione del 1835, durante il dominio austriaco, completano la storia della reliquia che adesso è deposta sotto l'altare maggiore della basilica.
La leggenda narra che Marco, prima di recarsi ad Alessandria, sarebbe stato ad Aquileia (di cui alcuni lo vogliono vescovo). Partendo da questa località, si ferma nella laguna veneta per riposarsi (proprio dove oggi sorge la chiesa di San Francesco della Vigna, alle cui spalle ancora c'è una piccola cappella a ricordo dell'avvenimento, oggi trasformata in magazzino...). Durante la notte ivi trascorsa, gli appare un angelo che gli predice che in quelle isole vi sarebbero stati abitanti straordinari, a lui devoti, e che le sue ossa qui avrebbero trovato riposo, e lo saluta a nome di Cristo, con la celebre frase: "Pax tibi Marce evangelista meus". Sono appunto le parole che appaiono sul libro aperto del leone alato. L'esistenza della parola "pax" porta a chiudere il libro in caso di guerra.
San Marco è dagli storici spesso identificato nel Vangelo, al momento dell'arresto di Gesù, nel ragazzo che stava seguendolo "avvolto solo di un panno di lino. Tentarono di afferrarlo, ma lui, lasciato cadere il panno, se ne fuggi via nudo".






giovedì 1 marzo 2012

Corte dei Muti

In Corte dei Muti (famiglia di origine lombarda), a pochi passi da Campo dei Mori, al numero civico 3450 si trova una pietra da camino seicentesca in pietra di Nanto. Le pietre da camino sono pietre refrattarie poste, un tempo, all'interno dei caminetti dei palazzi cittadini, usate per evitare che il calore si disperdesse all'esterno. Quando i caminetti non furono più utilizzati, queste pietre vennero utilizzate come particolari decorativi delle facciate delle case.
D'altra parte a Venezia era prassi comune riutilizzare parti edili per via della difficoltà di recuperare materiale da costruzione.

Subito al di là del vicino rio, si nota uno scudo della famiglia Rizzo, il cui simbolo (come spesso accadeva nella scelta araldica veneziana) è il riccio, che ne ricorda il nome.
Il riccio è un animale dai molti significati simbolici: quando è in pericolo si appallottola su se stesso, un atteggiamento quindi di difesa e non d'attacco; inoltre è sinonimo di intelligenza, poiché quando costruisce la sua tana la crea sempre con due ingressi, così se uno è minacciato può usare l'altro; infine si dice che faccia cadere gli acini d'uva per può infilarli sugli aculei e portarli ai cuccioli, un esempio insomma di genitore premuroso. Anticamente la sua carne era usata come farmaco contro la calvizie, forse perché gli aculei hanno l'aspetto di capelli fortissimi!

(Foto di Fausto Maroder)

mercoledì 10 agosto 2011

Simbolismo dell'acqua

"Il forestiero che arriva a Venezia dal rumore del mondo - scrive Marc Bloch - approda in una specie di liquido amniotico del silenzio", "L'acqua di Venezia - aggiunge Dominique Fernandez - non è acqua limpida: è consistente, sostanziale, prenatale, plasmatica". Ora il viaggio veneziano corrisponderebbe, secondo questa linea di pensiero al ritorno al grembo materno. Qualcuno ha persino collegato all'immagine del seno di donna, la struttura topografica e le numerose cupole fluttuanti nel cielo.
Loredana Gambuzzi, psicologa junghiana, campionando delle testimonianze di "genti disperse" trapiantate a Venezia, ha reso attendibile quest'ipotesi affascinante, che rilancia il tratto iniziatico originario di ogni grande insediamento urbano, non solo di Venezia, con la differenza che a Venezia, come grande isola pedonale, labirintica e difesa dall'acqua, esso sarebbe ancora direttamente percepibile.
Recenti teorie psicanalitiche riconoscono nelle acque di Venezia la capacità di portare a galla la nostra vera natura, spiegando pertanto il così vasto ventaglio di emozioni diverse che essa suscita; in pratica, ognuno vede in Venezia ciò che è lui stesso.
Venezia dunque assume la veste di iniziatrice, della Grande Madre che riceve l'iniziato e attraverso i suoi labirinti lo libera dalle strettoie della coscienza raziocinante, facendo riaffiorare l'energia della libido primordiale.
Occorre inoltre tener conto di quanto ricorda Enrico Raffi, scrittore della scuola di Alberto Moravia (che aveva pure lui una casa a Venezia, presso la Basilica della Salute): "Sono state le acque a salvare Venezia, quelle acque che dovrebbero infradiciare i ponti, ma che in questo caso sono più simili a quelle a cui dovette la vita il piccolo Mosè". Si analizzi questa frase alla luce della persistenza del mito biblico nel mito di Venezia: Mosè salvato dalle acque separerà le acque, come si auspicherebbe, per la salvezza della città, separare le acque del mare da quelle della laguna con una macchina dal nome "Mose".
Non a caso l'episodio della salvezza di Mosè dalle acque è stato affrontato anche da Tintoretto e Veronese, i quali collocano l'episodio biblico nel contesto di una sorta di gineceo. Acquaticità e femminilità sono dunque assunti come motivi convergenti e indissolubili.

lunedì 21 febbraio 2011

Il corno ducale

Uno dei più noti simboli di Venezia è il cosiddetto "corno ducale", cioè quel curioso copricapo che  a partire dal IX secolo, tutti i dogi erano tenuti ad indossare. In realtà anche prima di allora i dogi indossavano un cappello come simbolo del loro incarico, ma era di forma completamente diversa.
A quei tempi era usanza che il doge si recasse una volta all'anno a rendere omaggio alle reliquie di San Pancrazio e di Santa Sabina, custoditi nella chiesa di San Zaccaria. Le due reliquie erano stato donate al monastero di San Zaccaria da Papa Benedetto III, quando questi, messo in fuga dal sultano di Babilonia, trovò rifugio tra queste mura.
Era questo un convento particolare, in quanto riservato ai soli patrizi, e per questa ragione il convento era spesso fatto oggetto di doni e lasciti sostanziosi, che permettevano alle monache di vivere in maniera decisamente agiata, e non priva di qualche diversivo, dal momento che ben poche erano lì per autentica vocazione.
Fu nell'occasione della visita del doge Pietro Tradonico nell'864 che la badessa Agostina Morosini gli fece dono di un bellissimo copricapo, dalla forma particolare, detto appunto "corno". Era interamente trapuntato di fili d'oro e adornato di 24 perle, un grosso rubino ed una croce formata da 28 smeraldi e 12 brillanti. Il cappello era talmente prezioso che venne soprannominato zoia (cioè "gioia" o "gioiello").
Il dono non era rivolto però al doge personalmente ma alla carica che rivestiva, di conseguenza il copricapo venne custodito nel Tesoro della Repubblica e utilizzato solo in occasioni ufficiali particolarmente importanti.

(Fonte: M. Brusegan)

domenica 12 settembre 2010

Il leone di San Marco

Fu Sant'Ireneo nel II sec. che per primo attribuì i simboli ai quattro Evangelisti: l'aquila a San Giovanni, il bue a San Luca, l'angelo a San Matteo e il leone a San Marco. Ma ancor prima della nascita di Cristo le dodici tribù ebraiche si raggruppavano a gruppi di tre sotto simboli simili: Issachar, Zabulon e Giuda: il leone; Ruben, Simeone e Gad: l'angelo-uomo; Efraim, Manasse e Beniamino: il toro; Dan, Aser e Neftali: l'aquila. Questi animali ricordano gli ancor più antichi Karibu assiri, esseri dalla testa umana, corpo di leone, zampe di toro e ali d'aquila.
Il leone è simbolo di potenza, di sovranità, ma anche del Sole, dell'oro, della forza penetrante della luce e della parola. Krishna, dice la Bhagavad Gita, è "il leone tra gli animali"; il Buddha è "il leone della Shakya". E' la potenza della shakti, dell'energia divina, ma anche portatore di conoscenza. Si legge nei Veda indiani:"Quando egli insegna il Dharma ad una assemblea, suona come il ruggito del leone". Parole simili a quelle di San Marco all'inizio del suo Vangelo quando descrive San Giovanni Battista che "ruggisce nel deserto".
Il leone rappresenta anche la giustizia: da cui i leoni del trono di Salomone.
In Estremo Oriente il leone è un animale fortemente emblematico, con profonde affinità con il drago, ed è in grado di proteggere dalle influenze malefiche. In Egitto i leoni sorvegliano il trascorrere del tempo.
A Venezia, malgrado il trafugamento del corpo di San Marco avvenga nell' 828, la figura del leone quale simbolo dello Stato sarà adottata soltanto nel XII secolo. I mosaici della cappella di Sant'Isidoro, nella Basilica di San Marco, raffigurano la traslazione del corpo di Sant'Isidoro dall'isola di Chio per opera del doge Domenico Michiel, avvenuta nel 1125. Questi mosaici raffigurano la fortezza dell'isola di Chio, un molo e delle galere. Varie bandiere sventolano sia sulla fortezza sia sulla poppa delle galee. Su ogni bandiera è raffigurato un leone.
I colori utilizzati per il leone e per lo sfondo nello stendardo di Venezia variano moltissimo nei secoli, la Serenissima infatti non codificò mai ufficialmente la sua araldica, così che leone e bandiera furono rappresentati in modo assai differente, comunque i colori più usati sono il leone in color oro su sfondo rosso o su sfondo azzurro.

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