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domenica 4 gennaio 2015

Ramusio e la nascita della geografia moderna

Nel 1439, Cosimo de' Medici il Vecchio riesce a manovrare affinché il concilio, iniziato a Ferrara, sia trasferito a Firenze. Cosimo sa che questo è essenziale per il prestigio suo e della sua città.
In quegli anni il papa Eugenio IV ha fissato la sede papale in Firenze.
Col concilio giunge a Firenze la schiuma della terra, potremmo fare molti nomi, che danno suoni più o meno altisonanti, per esempio il cardinale Bessarione e Giorgio Gemisto Pletòne: uomini dottissimi che da Costantinopoli portano sangue fresco nelle vene degli umanisti, avidi di aggiungere la conoscenza del greco a quella del latino.
Firenze (assieme a Venezia) è terra più grecizzante d'altre, fin dai tempi del Crisolòra.
Cosimo il Vecchio crede anche al greco come elemento di prestigio, e approfitta dell'occasione per porre le basi di una Accademia Platonica con interessi filosofici, della quale sarà gran capo, negli anni seguenti, Marsilio Ficino.
Mentre Cosimo il Vecchio pensa al prestigio che gli può venire dal concilio, dalla letteratura greca e dalla filosofia, altri vedono il mondo con colori diversi e pensano per esempio alla geografia.
Ci son persone di diversa, non minore intelligenza, a Firenze in quegli anni, che pensano alla geografia. Uno è Paolo Dal Pozzo Toscanelli, amico di Filippo Brunelleschi e di Leon Battista Alberti.
Vien costretto ad occuparsi di geografia anche Poggio Bracciolini. Per ordine del papa Eugenio IV deve frequentare un mercante veneziano, Niccolò dei Conti.
Questo Niccolò dei Conti è nato verso la fine del Trecento e morirà, forse a Chioggia, nel 1469.
E' partito da Damasco in Siria nel 1414 per un viaggio commerciale in Oriente durato ventitré anni. Ventiquattro anni era durato il viaggio di Marco Polo.
A differenza di Marco Polo, Niccolò dei Conti ha ritenuto utile farsi musulmano, e viene qui a Firenze nell'anno 1439, per farsi perdonare dal papa. Il papa gli concede il perdono a patto che racconti a Poggio Bracciolini la storia del suo viaggio in Oriente.
Si riproduce dunque (anche se non spontaneamente, bensì per ordine pontificio) la situazione del 1298, quando Marco Polo raccontò la storia del suo viaggio in Oriente a Rustichello da Pisa.
Nel 1298 ne era nato un capolavoro, in questo anno 1439 (colpa di Niccolò dei Conti? colpa di Poggio Bracciolini?) ne nasce un libretto che ha un successo molto limitato.
Il libretto di Poggio Bracciolini, scritto in latino, entra in una delle sue opere, De varietate fortunae. Poi viene ristampato a sé, come estratto, sempre in latino, col titolo India recognita, da un tipografo tedesco che lavora a Cremona.
I libri che i tedeschi (inventori della stampa a caratteri mobili) stampano a Cremona in latino, li leggono in Portogallo. Il libro tedesco-cremonese-fiorentino-veneziano viene tradotto in portoghese.
Il grandissimo veneziano Giovan Battista Ramusio (1485-1557) ha sentito parlare del concittadino Niccolò dei Conti, e sa come cercare i libri, ma non riesce a trovare né il libro De varietate fortunae, né l'estratto tedesco-cremonese. Trova infine  l'edizione portoghese, e ritraduce dal portoghese al veneziano.
Oggi possiamo leggere Niccolò dei Conti nel testo del Ramusio.
Giovan Battista Ramusio fu diplomatico, geografo e umanista della Repubblica di Venezia e fu l'autore del primo trattato geografico dell'età moderna, titolato Delle navigationi et viaggi. L'idea di comporre questo trattato risale al periodo in cui Ramusio ebbe l'incarico di prendere contatti con il navigatore Sebastiano Caboto, figlio di Giovanni Caboto.
Nella descrizione del viaggio di Niccolò dei Conti ci troviamo diverse cose interessanti: egli giunge fino a Giava e Sumatra. Vediamo le mogli dei maragià salire sul rogo con la salma dello sposo, conosciamo la crudeltà dei malesi, e l'amok (c'è sulle enciclopedie, non c'è nei libri di Salgari... se non volete ch'io parli di Salgari, parlerò sanscrito: il maragià è il maha-raja, corrispondente al latino magnus rex).
Ma non abbiamo un capolavoro come il Milione. Sarà invece uno dei testi sui quali si baserà Ramusio per la stesura del suo testo fondamentale nella storia della geografia.


giovedì 15 maggio 2014

Marco Polo e il Milione

A Genova, nell'autunno del 1298, dopo la battaglia di Curzola, il "nobile cuore dei genovesi ha la gentile saggezza di fare a Marco Polo, tra gli altri cinquemila prigionieri in attesa di riscatto, onorevole cortesia" (Anonimo Genovese).
La prigionia di Marco Polo a Genova è una prigionia dorata, analoga a quella di Re Enzo a Bologna (molto diversa da quella del conte Ugolino a Pisa o da quella di Iacopone da Todi...).
In prigione Marco Polo si ritrova come compagno di cella Rustichello da Pisa, che era lì dal 1284.
Rustichello da Pisa è uno scrittore abbastanza noto, specializzato in rifacimenti di romanzi della Tavola Rotonda. Rustichello non scrive in questo o quel neo-latino d'Italia, né in latino, bensì in "francese di Lombardia" (derivato dalla lingua d'oil).
Nella dorata prigionia di Genova, il veneziano Marco Polo parla e parla col pisano Rustichello, e può darsi che parlino proprio in "francese di Lombardia" (forse Marco parla in "franco-veneto"... è sempre affascinante immaginare in quali lingue comunicassero le persone nei secoli passati).
Verosimilmente Marco Polo è un bravo narratore, a voce. Raccontare le cose oralmente a volte, a certe persone, vien meglio che per iscritto. Per esempio Giovanni da Pian del Carpine raccontava meglio i suoi viaggi a voce che per iscritto. Ma Giovanni da Pian del Carpine era anche uno che provava a scriverli (senza troppo successo) i suoi racconti (in latino); forse qualche impaccio della sua inettitudine di scrittore si riverberava nel parlare. Marco Polo non aveva nemmeno questo impaccio, probabilmente Marco Polo non aveva mai preso la penna in mano, se non per i suoi conti da mercante.
Così, per nostra grandissima fortuna, Marco Polo parla liberamente, a braccio, e Rustichello da Pisa, ascolta, socchiudendo gli occhi. Che storie straordinarie! Come assomigliano ai romanzi della Tavola Rotonda che Rustichello da Pisa ha nelle orecchie!
Poi Rustichello inizierà a scrivere quel che Marco Polo gli racconta.
Che un libro possa nascere così lo vediamo tutti i giorni. Un uomo politico, un capitano d'industria, un campione sportivo o un'attrice, firmano un libro di memorie che è stato scritto per loro incarico da un romanziere o da un giornalista. A volte in copertina figurano i due nomi, a volte ne figura solo uno: il nome di chi non ha scritto il libro...
Fiumi di inchiostro son corsi ponendosi il problema della vera paternità del libro che nasce a Genova sotto la penna di Rustichello da Pisa, seguendo (come?) le labbra di Marco Polo. Una cosa è certa, il libro ha molto l'aria di esser stato scritto da un rifacitore professionista di romanzi della Tavola Rotonda.
Il libro ha subito un'immensa fortuna, proprio perché si fa leggere come un libro di intrattenimento. Uno dei titoli che ha nei codici rimastici è Le divisament dou monde (in "francese di Lombardia" significa: "La descrizione del mondo"). Viene poi riscritto in francese e assume il titolo di Livre des merveilles ("Libro delle meraviglie"). Ha immediatamente una traduzione in latino: De mirabilibus mundi ("Le meraviglie del mondo"). In traduzione latina leggerà questo libro, scritto a Genova, il (forse) genovese Cristoforo Colombo, e ci si scalderà la fantasia, e ci farà delle note (il codice postillato da Cristoforo Colombo si conserva nella Biblioteca di Siviglia). Seguiranno traduzioni in neo-latino veneziano e in neo-latino fiorentino. Titolo: Libro di messer Marco Polo cittadino di Venezia detto Milione. Il soprannome "milione" sembra derivare dal fatto che la gente non creda minimamente ai suoi racconti, e ritiene che siano un milione di frottole. Ma tutti ritengono che il libro sia davvero molto bello da leggere.
Il Milione vive quindi molte vite e avrà innumerevoli traduzioni. In molti manoscritti viene trascritto insieme ai romanzi della Tavola Rotonda o ai romanzi del "ciclo classico" (tratti da Omero e Virgilio). Non è forse un caso se Matteo Maria Boiardo, scrivendo l'Orlando Innamorato, fa provenire la bellissima Angelica proprio dal Catai...
Resta da dire che Il Milione, per chi ha gusti letterari, è uno dei più bei libri che siano mai stati scritti.
Oscar Wilde lo metteva nel numero ristrettissimo dei libri che val la pena di leggere, anzi, nel numero ancor più ristretto dei libri che val la pena di rileggere.
Vi consigliamo pertanto di leggere e rileggere il Milione, e non abbiamo altro da dire.

(fonte: G. Dossena)