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venerdì 4 marzo 2011

Gastronomia veneto-bizantina (1° parte)

Un incessante andirivieni di uomini e merci collega le sponde dell'Adriatico con quelle dell'Egeo: grano da Cipro, vino e olio da Creta, sale e uva passa da Cefalonia e Zante, sono i prodotti monopolistici trasportati con profitto dalla Serenissima.
Tranne qualche rara eccezione, nel contesto lagunare le imprese elleniche sono di dimensioni medio-piccole, tuttavia è molto ampio l'elenco delle merci trattate. Cotone, lane, tappeti, drappi fatti di pelo di capra chiamati cameloti, coperte di lana ruvida dette schiavine, sono apprezzati nelle case veneziane. Anche la cera è un prodotto importato dai greci. Quanto a grano, orzo, fave e semi di lino, riempiono i magazzini di una città che "non ara, non semina, non vendemmia" ma che trae risorse da ogni porto.
Un discorso a parte merita il vino, che a Venezia non è mai mancato. Chiuso in orci di terracotta da 30 litri, da Creta, da Cipro, dal Peloponneso, i mercanti greci trasportano i cosiddetti "vini navigati", che vengono speziati o addolciti con miele o melassa, per conservarli meglio. Di quest'antico metodo oggi rimane solo la bevanda tonificante dei freddi carnevali: il vin brulé, che si beve caldo con zucchero, cannella, chiodi di garofano e cardamomo.
Ma il  nettare di cui si fa più smercio è l'assai delicata malvasia (termine derivato dalla città greca Monemvassìa), che si divideva in dolce, tonda e garba, ed era tanto apprezzata da essere registrata nelle spese pubbliche. Come annotava lo storico Giuseppe Tassini: "di tal vino con semplici biscottini componevansi le colazioni degli stessi elettori dei dogi; e di tal vino usavasi anche pel sacrificio della Messa, e per le comunioni".

lunedì 4 ottobre 2010

Osterie, Bacari e dintorni a Venezia

A Venezia si incontrano diverse Calli del Magazen (di cui vediamo nella foto un nizioletto curiosamente reinterpretato), ma contrariamente a quanto potrebbe sembrare i Magazen non erano "magazzini", ma rivendite di vino al minuto. Nei Magazen inoltre si praticava il prestito su pegno e vi si riceveva in cambio due terzi in denaro e un terzo in vino di bassa qualità, detto appunto “vin da pegni”.
Anticamente a Venezia esistevano varie tipologie di locali, oltre ai magazen c’erano le osterie, che svolgevano anche funzione di albergo, poi c’erano le malvasie, dedite alla sola rivendita di vino foresto, cioè straniero (ricordiamo che la malvasia non è un vino siciliano ma greco), poi c’erano i bastioni e i samarchi, vere e proprie bettole dove si potevano anche mangiare i famosi cicheti, cioè gli antenati delle tapas spagnole, poi c’erano le furatole, dove si consumavano pasti veri e propri, infine c’erano i fritolini, dove si consumava solo pesce fritto e polenta.
Più recenti sono i "bacari", locali dove tradizionalmente si beve un'ombra di vino e si gustano i cicheti. Il nome forse deriva dai "bacari" (singolare: bacaro), un termine, che a sua volta deriva dal "Baccho", dio del vino. Secondo un'altra teoria deriva da "far bàcara", espressione veneziana per "festeggiare". "Bacari" si chiamavano una volta quei vignaioli e vinai, che venivano a Venezia con un barile di vino per venderlo in Piazza San Marco, insieme con dei piccoli spuntini.
Nei veri bacari è possibile consumare anche vino di ottima qualità.

"Chi ben beve, ben dorme,
chi ben dorme, mal no pensa,
chi mal no pensa, mal no fa,
chi mal no fa, in Paradiso va.
Ora ben bevè che el Paradiso avarè!"


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